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Tema: Francisco Elías de Tejada

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    Francisco Elías de Tejada

    Francisco Elías de Tejada

    Note biografiche.
    Francisco Elías de Tejada (1917-1978) è stato una delle figure più eminenti del tradizionalismo europeo del secolo appena concluso. Storico e filosofo del diritto, insegnò nelle maggiori Università spagnole e fu autore di un vastissimo repertorio che conta più di trecento opere e che spazia dal diritto portoghese a quello finlandese, dal norvegese a quello brasiliano, dallo studio dei Dayak del Borneo ai Bantù, dal pensiero politico di Campanella, a Vico, a Evola, a Donoso Cortés.
    Grande viaggiatore e conoscitore di popoli, Tejada ebbe un tenace attaccamento per la città di Napoli, nella quale soggiornò a lungo per i suoi studi, e nutrì un sentimento quasi viscerale per la cultura e la tradizione napoletana, nella quale ritrovava anche le proprie origini familiari.
    Nella sua sterminata bibliografia spiccano in modo particolare due opere: il Trattato di filosofia del diritto, rimasto incompiuto, e il monumentale Nápoles hispánico, terminato nel 1964, che può ben essere considerata la più completa e acuta ricostruzione storica, politica e giuridica della Napoli in età spagnola, tra il XV e il XVII secolo.
    Tejada ribalta completamente la lettura che la storiografia, illuminista prima e risorgimentale poi, ha dato della cosiddetta dominazione spagnola, che sarebbe stata uno dei periodi più neri dei secoli pre-unitari. Per lo storico e filosofo spagnolo non si trattò di dominazione, di viceregno, ma di federazione e il rapporto non fu di sudditanza ma di condivisione e di pari dignità. Napoli entrò a far parte della Confederazione delle Spagne, che raccoglieva tutti i popoli europei e latino-americani uniti da due vincoli indistruttibili, la fede nello stesso Dio e la fedeltà allo stesso re, conservando però proprie istituzioni, propria autonomia e propria cultura. Nel rispetto della sua tradizione e identità, la Nazione napoletana fu chiamata dai Re spagnoli a continuare la propria missione storica di difesa della Cristianità contro l’espansionismo islamico.


    Brano Estratto da: Il realismo giuridico di Francisco Elías de Tejada: fondamenti e implicazioni di Miguel Ayuso Torres, pagg. 15-16

    «La realtà delle Spagne classiche deve essere guardata necessaria¬mente attraverso queste lenti. Perché le Spagne «furono una monarchia federativa e missionaria, varia e cattolica, formata da un manipolo di po¬poli dotati di peculiarità di ogni specie (razziali, linguistiche, politiche, giuridiche e culturali) ma tutti uniti da due vincoli indistruttibili: la fede nello stesso Dio e la fedeltà allo stesso re». Due fatti derivano direttamen¬te da ciò che precede: «Primo, la monarchia era tanto varia che persino nei titoli variava, poiché non si aveva Re di Spagna, ma re di Castiglia o di Napoli, duca di Milano o del Brabante, signore di Vizcaya o di Kandi, marchese del Finale o di Oristano, conte di Barcellona o della franca contea di Borgogna; secondo, in ciascuna di queste architetture politiche, le Spagne godettero di autonomia istituzionale e libertà, autonomia e libertà perse da questi popoli, dalla Sardegna all’Artois o dalle Fiandre alla Sicilia, quando la forza delle armi - e sia chiaro mai la volontà dei popoli, sempre spagnolissimi - li fecero uscire dalla confederazione delle Spagne».

    Tratto da: Editoriale Il Giglio


    ConservAZIONE.org - de Tejada
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    Re: Francisco Elías de Tejada

    Francisco Elías de Tejada





    Forse quarant’anni fa il termine “Europa” esercitava ancora un grande fascino, evocando il concetto di “fortezza europea”, quasi sinonimo di Cristianità. Ora, anche dopo la pessima riuscita delle istituzioni di Bruxelles e di Strasburgo, il concetto di Europa (Europa Unita, Comunità Europea) si lega piuttosto a un centralismo ateo e ferocemente progressista, pronto a imporre ai singoli Paesi leggi contronatura create da burocrati lontani dalla vita reale.

    Ma già quarant’anni fa c’era una voce che criticava fortemente il concetto stesso di “Europa”, identificandolo con quello di modernità (nel senso negativo del termine). Era quella di Francisco Elías de Tejada, filosofo giusnaturalista, filosofo della storia e storico, di cui cade quest’anno il centenario della nascita.

    In Italia è noto soprattutto per la monumentale opera storiografica dedicata ad uno dei periodi più bistrattati, sul quale pesa un pregiudizio negativo: il periodo cosiddetto “spagnolo”, sulla quale la storiografia italiana, da Manzoni in poi, fa ricadere tutti i mali della Penisola.

    Le cinque «fratture»

    Nato a Madrid, ma legato alle proprie origini dell’Estremadura, giovanissimo raggiunse la Cattedra di Diritto Naturale presso l’Università della Murcia (sarebbe poi passato a Salamanca, a Siviglia e quindi a Madrid). Assieme a Rafael Gambra y Álvaro d’Ors rappresenta una delle cime del pensiero carlista, il movimento tradizionalista spagnolo che non si limita ad agitare le pretese dinastiche al Trono di Spagna del legittimo successore Don Carlos, ingiustamente posposto alla nipote liberale Isabella di Borbone, ma che incarna il più puro pensiero politico tradizionalista cattolico.

    La sua visione storico-politica individua la presenza di cinque “fratture”, che portarono dal mondo medioevale e cristiano a quello moderno ed ateo: «La Cristianità muore perché nasca l’Europa, quando questo perfetto organismo si infrange dal 1517 al 1648 con cinque fratture successive: la frattura religiosa del protestantesimo luterano, la frattura etica con Machiavelli, la frattura politica per opera di Bodin, la frattura giuridica con Grozio e Hobbes e la frattura definitiva del corpo mistico cristiano con i trattati di Westfalia. Dal 1517 al 1648 l’Europa nasce e cresce e, nella misura in cui nasce e cresce l’Europa, la Cristianità si indebolisce e muore».

    Con lo scisma di Lutero scompare la vecchia Europa, sorta ed unita grazie al cristianismo, laChristianitas maior, e rimane la Christianitas minor, cioè le Spagne, che continuano a difendere la Fede a questo punto non con l’Europa, ma contro di essa (pensiamo alla Francia di Francesco I che cerca accordi con il Sultano turco in funzione nazionalistica, scegliendo cioè un “alleato” islamico contro un “nemico” cattolico).

    L’«Hispanidad»

    Come filosofo del diritto, oltre ad occuparsi della relazione tra diritto, morale e politica, lasciò erudite considerazioni sulla conoscenza giuridica, affermando la supremazia dellaprudentia iuris (la giurisprudenza intesa come conoscenza filosofica) sulle conoscenze tecniche e puramente scientifiche.Inoltre studiò le cause delle differenze tra i popoli, valorizzando la tradizione rispetto alla nazione e lo sviluppo del modello istituzionale della monarchia tradizionale, cattolica e rappresentativa.

    Infine, nella storia delle idee politiche, ha perseguito con zelo l’indagine del concetto dihispanidad, nel senso ampio e pre-nazionale che esprime la parola – che fu lui a rilanciare – di “Spagne”, al fine di rinvenire il suo cammino nel tempo: per questo si interessò non solo ai costumi giuridici della propria terra, ma anche a quelli dei più svariati universi culturali (Scandinavia, Estremo Oriente, Africa nera, eccetera).

    Istituzioni ed opere

    Il suo enorme studio sul diritto naturale (duemila pagine) fu interrotto dalla morte, avvenuta a Madrid a soli 61 anni nel 1978, e lo stesso avvenne con la storia della letteratura politica delle Spagne.

    Rimane, però, la base del suo pensiero politico, rimane come uno degli archetipi deltradizionalismo ispanico di radice cattolica e di matrice tomista, legato alla cultura giuridica dei fueros, i diritti tradizionali locali, e quindi opposta alla cultura centralista di matrice europea.

    Tra le molteplici attività dell’instancabile professore si contano la fondazione del Consiglio di Studi IspaniciFilippo II”, tuttora attivo anche in Italia, e, come accennato, la monumentale storia del pensiero politico nel Regno di Napoli in cinque volumi, la cui traduzione in lingua italiana è stata da poco pubblicata dalla casa editrice Controcorrente.Si tratta di un’opera che ribalta completamente il giudizio negativo sul periodo “spagnolo”, dimostrando attraverso l’analisi delle opere pubblicate l’esistenza di un pensiero “ispano-napoletano”, che si opponeva alla cultura atea, totalitaria e anticristiana della modernità (quella, per intenderci, di Machiavelli, Campanella e Giordano Bruno).

    Lo studio di decine e decine di autori, meno famosi ma non per questo meno importanti, permette dunque di dare un giudizio completamente diverso su quello che, in realtà, fu uno dei periodi di massimo splendore del Meridione, al contrario di quanto ci viene gabellato a scuola.

    All’iniziativa della casa editrice Controcorrente di tradurre l’intera opera storiografica di Francisco Elías de Tejada su Napoli, si affianca la nascita di una collana, che intende riproporre i testi originali che lo studioso spagnolo cita per estratto: il primo volume è il trattato di Francesco Lanario, Il Principe bellicoso, edito dal Club di Autori Indipendenti, la risposta cattolica che la Napoli ispanica dette all’amorale Principe di Niccolò Machiavelli.

    https://www.radioromalibera.org/cult...ias-de-tejada/
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    Re: Francisco Elías de Tejada

    Libros antiguos y de colección en IberLibro
    Il carattere alternativo, estremo e combattivo, in difesa della Fede cattolica, delle Spagne versus la visione individualistico-assolutista e mercantile dell’“Europa”



    Ci segnalano un libro di grande rilievo del noto filosofo tomista spagnolo Francisco Elías de Tejada, che raccoglie saggi dedicati agli snodi più importanti del passaggio dalla teoria alla prassi dell'immanentismo moderno (La Cristianità medioevale e la crisi delle sue istituzioni; Conseguenze del Protestantesimo; Che cos'è il giacobinismo; Il mito del marxismo).


    FRANCISCO ELÍAS DE TEJADA, Le radici della modernità, traduzione e note a cura di Gianandrea de Antonellis, saggio introduttivo di Giovanni Turco, Edizioni Solfanelli, Chieti 2021, pp. 180, euro 12.



    Sono onorato per l’incarico di recensire questo magnifico volume del grande pensatore spagnolo Francisco Elías de Tejada, la più nota espressione filosofica di quel movimento culturale, politico e militare, di stampo schiettamente “tradizionalista e controrivoluzionario”, che è stato il Carlismo, nato nelle terre basche, Navarra e Catalogna, poco prima del 1833 e divenuto espressione contemporanea di tutte le Spagne e della loro missione storica.

    Il volume ha una magistrale introduzione di Giovanni Turco: Le radici della modernità nel pensiero di Francisco Elìas de Tejada. È edito nell’ambito della “Collana studi carlisti”, da Solfanelli (Chieti, 2021).

    Non è facile sintetizzare quest’opera perché termini, per noi consueti, forse abusati, come “Europa” e “Occidente”, sono sostanzialmente banditi dal lessico “castigliano” tradizionale, in quanto alternativi e contrapposti a quello di “Cristianità”.

    Vi è, però, un punto fermo, per tutti, l’instaurazione del Sacro Romano Impero, da parte di quello straordinario personaggio che fu il re Carlo Magno, che sintetizzò in sé il retaggio germanico (franco), quello romano e quello cristiano, declinato senza aggettivi, perché allora dire cristiano voleva dire cattolico, giacché non esisteva ancora quell’autentica tragedia religiosa che sarebbe stata la Riforma, o, meglio, Rivoluzione protestante, dopo la quale si sarebbe dovuto precisare.

    Fu un momento ideale quella notte di Natale dell’800 dopo Cristo, quando nacque il Sacro Romano Impero, che riunì gran parte dell’Europa fino alla parte settentrionale della Spagna e, soprattutto, alla Catalogna, senza riuscire a sottomettere mai altri territori ispanici e in particolare le terre basche e navarresi che inflissero ai Franchi la terribile sconfitta di Roncisvalle (Orreaga in basco).

    Alla morte di Carlo Magno, l’impero fu diviso, col trattato di Verdun, tra i tre figli maschi di Carlo, e la parte occidentale dell’Impero, che conservò la lingua latina, cominciò un distacco progressivo dalla parte rimasta germanica dell’Impero, divenendo Regno di Francia. All’interno di quell’impero, vi era l’Italia centro settentrionale fino all’odierno Lazio.

    Le Spagne rimasero come appartate, impegnate nella secolare crociata che in terra iberica si chiamò Reconquista, contro l’Islam, e dal Re di Navarra, Sancho III il Grande, si originò quello che sarebbe divenuto, progressivamente, il Regno di Spagna, perché i futuri Regni di Castiglia e di Aragona non erano altro che contee della Navarra, che furono assegnate, alla morte del grande Re, nel 1035, rispettivamente al figlio Ferdinando, la Castiglia, appunto, insieme a parte del Leòn e all’altro figlio Ramiro il bastardo, la contea di Aragona. Le due contee divennero Regni che si unificarono alla viglia del completamento della Reconquista.

    Dalle pagine di Elías de Tejada emerge il carattere alternativo, estremo e combattivo, in difesa della Fede cattolica, delle Spagne e, viceversa, la visione individualistico-assolutista e mercantile dell’“Europa”, terreno d’incubazione di due fenomeni che Elías de Tejada respinge senza mezzi termini: il Protestantesimo ed il Liberalismo. Il primo perché fondato sullaScriptura e sull’aggettivo sola, cioè Sola Scriptura, Sola Gratia, Sola Fides e così via, il secondo perché propugna una visione astratta ed “ucronica” dell’uomo. Attraverso una progressiva serie di rotture, all’interno dell’impero, con il progressivo allontanamento del ramo “occidentale” e, ormai, francese dell’Impero, ridotto alla sola dimensione germanica, con la rottura tra Impero e Papato, nella lotta per le investiture e con la caduta di quest’ultimo nell’orbita francese, la “Cristianità”, ormai allontanatasi dal modello carolingio, è aperta a tutti gli sconvolgimenti dei secoli successivi e all’errore capitale del “nuovo mondo” moderno: la scomparsa della visione teocentrica, sostituita da quella antropocentrica che si esprime nell’Umanesimo e nel Romanismo.

    Ma, proprio all’inizio del 1500, si afferma una figura straordinaria che va affiancata a Carlo Magno, Carlo V, che, per una serie di legami familiari, è imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, arciduca d’Austria, re di Spagna e principe dei Paesi Bassi, come Duca di Borgogna, cioè in sostanza dell’ex porzione occidentale dell’impero. Unifica in sé anche le vaste colonie castigliane e una colonia tedesca nelle Americhe. Diviene “Defensor Ecclesiae” per decisione di Papa Leone X, anche contro la minaccia islamica. Non riuscendo, però, nel suo ideale universalistico, anche a causa della politica filoprotestante di Enrico II di Francia.

    Ma il processo di disgregazione riprese.

    Poi, si afferma il Giacobinismo, con la sua altissima e spesso dimenticata concentrazione di vescovi e sacerdoti. Corrente, quella giacobina, che, ricorda Elías de Tejada, è l’inevitabile conseguenza delle tesi di Jean Jacques Rousseau. E, per finire, si profila la teoria-prassi di Karl Marx, che parte dal “pensiero dietro il fatto”, fonda una “religione atea”, e che, infatti, aggiunge al protestantesimo paterno il retaggio materno ebraico veterotestamentario, ma a rovescio, ovvero non solo senza ma contro Dio, con il sogno utopico di un “paradiso in terra”, come meta finale di un percorso al termine del quale il nuovo “popolo eletto”, il proletariato, inaugurerà l’eliminazione di ogni alienazione e di ogni sfruttamento.

    Come si vede, la “modernità” non è un fatto statico, ma un processo in cui ogni tappa è legata alla precedente, la conferma e la supera, dialetticamente, portando avanti il processo, questo sì, di alienazione dell’uomo da Dio e dal creato.

    Giuliano Mignini



    Chiesa e post concilio: Il carattere alternativo, estremo e combattivo, in difesa della Fede cattolica, delle Spagne versus la visione individualistico-assolutista e mercantile dell’“Europa”




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