Quando messicani e spagnoli difesero la fede dal comunismo




Giovanni Formicola


Fra la terza rivoluzione (social-comunista) e la quarta (antropologica) i marxisti svilupparono un prototipo di quest'ultima, scatenando il loro tradizionale odio anti-cristiano, nel Messico degli anni Venti e nella Spagna repubblicana. Popoli cattolici li fermarono, obbligandoli, poi, a cambiare strategie. Il 18 luglio iniziò l'insorgenza spagnola.



La fine per implosione dell’impero socialcomunista sovietico ha spinto – ma forse sarebbe meglio dire costretto – una parte cospicua del movimento comunista a riciclarsi come radicalismo di massa.

La via verso l’uomo nuovo sembra così passare più dai laboratori in cui vengono sperimentate le biotecnologie e il dominio artificiale sulla filiazione, che da nuovi stampi sociali costruiti secondo il disegno dell’ideologia. Guide del cambiamento sembrano essere più i bio-ingegneri, che gli ingegneri sociali. Inoltre, alla vecchia «morale rivoluzionaria», si preferisce sostituire la nuova (anti)morale sessuale della liberazione degl’istinti, che legittima ogni opzione in quanto espressione di auto-determinazione. Questa, alla fine, consiste proprio in una pseudo-libertà, che si vuole totale, emancipata da ogni verità e realtà, anzi, contraria ad ogni verità e realtà, rifiutate, con maggiore o minore consapevolezza, in quanto prigione in cui si vorrebbe costringere «l’auto-coscienza umana come deità suprema» (K. Marx). È un processo dissolutorio, travestito da liberatorio, che travolge anche il dato di natura dell’identità maschio-femmina, superomisticamente rideterminata secondo libito e libido. La famiglia viene soffocata – non per inedia, ma per bulimia dei suoi modelli –, in nome della libera affettività che lo Stato deve riconoscere e legittimare, e gli stessi venerabili nomi di padre e madre vengono cancellati. La vita viene posta nella totale disponibilità dell’individuo, che sia la madre prima della nascita, che sia lui stesso, o chi gli vuol bene, dopo la nascita.

Quel che importa è rilevare che il «salto» è stato tutt’altro che brusco: tra la terza (quella storicamente, ma non filosoficamente, propriamente socialcomunista, cioè socio-economica), e la quarta Rivoluzione (quella culturale-antropologica), il marxismo, ideologia del comunismo e della Rivoluzione, ha costruito un solido ponte, che è anche una sicura via di fuga dai propri storici fallimenti sociali, economici e politici, oltre che una sorta di direzione obbligata.

In Messico e in Spagna negli anni 1920 e 1930, almeno in parte, questo scenario radicale e quartorivoluzionario si è manifestato ante litteram, quasi un prototipo operativo e dottrinale. Il tipico odio rivoluzionario e comunista nei confronti di Dio si è fin da subito tradotto in odio implacabile nei confronti della Chiesa e del cristianesimo, percepiti dal comunismo come la perfetta e vera incarnazione della religione e della religiosità umana – per definizione quel che impedisce l’auto-divinizzazione della creatura, che è invece il suo autentico scopo e movente. E tra i tanti episodi di questa guerra rivoluzionaria contro la Chiesa e ogni sopravvivenza di una civilizzazione cristiana nel XX secolo, che involge anche la dimensione antropologico-familiare, quelli messicano e spagnolo appaiono i più emblematici ed istruttivi, anche perché furono caratterizzati da una forte resistenza e reazione, persino vincenti, da parte del popolo cristiano e delle sue guide e autorità, soprattutto, ma non solo, civili.

Quei popoli, forse senza averne né la piena consapevolezza né l’intenzione, contribuirono a dare una diversa curvatura non solo alla propria storia – si può dire, quasi con certezza, che senza la loro reazione il culto cattolico si sarebbe praticamente estinto nelle rispettive nazioni –, ma a quella universale, dimostrandone la non irreversibilità. Essi – perciò imperdonabili – difesero la fede e fermarono l’avanzata comunista nel XX secolo, ritardandone quando non arrestandone l’espansione, rispettivamente nelle Americhe e nell’Europa occidentale, non senza conseguenze sia sull’elaborazione di nuove linee operative rivoluzionarie, sia sulle successive dinamiche geo-politiche.

Infatti, quanto alla prima conseguenza, la lezione spagnola indusse progressivamente il comunismo a rinunciare nei Paesi di lunga e radicata tradizione cristiana all’attacco frontale e violento, che compatta e spinge alla reazione, e non solo i fedeli, per puntare al coinvolgimento rassicurante nella loro marcia rivoluzionaria d’una dirigenza, ecclesiale e specialmente politica, proditoria – siccome modernista-progressista e democratico-cristiana –, o incline al «cedere per non perdere». In Italia, sulla scia del perseguimento della gramsciana lotta per l’egemonia prima che del potere, questo si chiamerà, prima, politica della «mano tesa» (1963), e poi, dopo l’ulteriore lezione cilena, «compromesso storico» (1973).

Quanto alla seconda, basti pensare che cosa avrebbe significato per l’Iberoamerica una Cuba tre decenni prima e circa venti volte più grande, con un Messico compiutamente socialista, una volta estirpate completamente le radici sociali della Chiesa e della religione cristiana. E che cosa avrebbe significato per l’Europa, dopo la seconda guerra mondiale, essere stretta dalla tenaglia di due «cortine di ferro», con l’Armata Rossa anche a sud dei Pirenei – perché non sarebbe finita diversamente se la Repubblica avesse vinto o se non ci fosse stata insorgenza contro la sua incipiente tirannia. Allora, destino certo della Francia, e quindi a cascata dell’Italia e della Germania Occidentale, sarebbe stato la «Cecoslovacchia», cioè l’ascesa al potere dei comunisti con l’azione combinata sul piano politico del partito dentro le mura, e sul piano psicologico dei carri armati sovietici alle porte.

Mi sembra perciò che gli episodi messicano e spagnolo di resistenza anche armata alla Rivoluzione anti-cristiana, per difendere la fede, la possibilità di viverla integralmente nella libertà, meritino d’essere ripresi e ricordati, sia per restituire onore e verità alla loro storia, troppo spesso vilipesa o dimenticata, che per riconoscerne la valenza esemplare, anche con riferimento all’esistenza e all’operatività nella storia dei nemici di Dio, della fede e di ogni verità, con e senza la maiuscola.

È per questo che, anche questo 18 luglio, ho inteso ricordare l’insorgenza spagnola nel suo giorno anniversario, intrapresa sì dai militari, ma con largo concorso di popolo cattolico, articolato nelle famiglie, nelle sue strutture sociali e culturali, nelle sue organizzazioni e forme politiche, con il coinvolgimento anche di quella parte non dichiaratamente cattolica, ma sollecita del destino della patria, che vedeva gravemente minacciato dal fronte rosso.



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