La Compagnia di Gesù

(di Corrado Gnerre su Radici Cristiane n. 18)

I due pilastri della Compagnia
Tutta la ragion d’essere della Compagnia di Gesù si esprime nei suoi due pilastri: 1) Il senso della militanza; 2) La totale fedeltà al Papa.
Questi due pilastri sono direttamente conseguenti alla spiritualità degli Esercizi spirituali che sant’Ignazio di Loyola scrisse (ispirato dalla Madonna) trovandosi in una grotta di Manresa: «(Sant’Ignazio) ritiratosi nella grotta di Manresa, ammaestrato dalla stessa Madre di Dio nell’arte di combattere le battaglie del Signore, ricevette come dalle mani di Lei quel perfetto codice (…) di cui deve far uso ogni buon soldato di Gesù Cristo» (Pio XI, Meditantibus nobis, 3 dicembre 1922).
In questi Esercizi c’è una meditazione chiamata dei due stendardi. Il Santo invita ad immaginare una vasta pianura con due città: una brutta, disordinata, sporca, chiassosa; l’altra bella, ordinata, pulita, silenziosa. La prima è Babilonia; la seconda, Gerusalemme. Fuori le mura di Babilonia c’è un mostro seduto su un trono fumante; il suo viso è terrificante, gli occhi fiammeggianti. È Satana che, sotto il suo stendardo infernale, chiama a raccolta i suoi.
Presso le mura di Gerusalemme, invece, c’è Gesù, bello, ordinato, pulito, che sotto lo stendardo celestiale chiama anche Lui a raccolta i suoi.
Ebbene, proprio nel vivo della meditazione, sant’Ignazio invita ognuno a porsi questa terribile domanda: e tu, sotto quale stendardo decidi di combattere? Domanda terribile, a cui non si può sfuggire: se si decide di non decidere, se si decide di non schierarsi, già si è fatta una scelta, già si è scelto Satana.
E il motivo è molto semplice. Non solo Gesù dice che chi non è con Lui è contro di Lui, ma già nel Protovangelo i termini della questione sono chiarissimi. Dopo il peccato originale, Dio dice al serpente che avrebbe posto inimicizia tra lui e la Donna (l’Immacolata), tra la stirpe di Lei e la stirpe del serpente, tra coloro che si schiereranno sotto il manto della Vergine e coloro che si metteranno sotto colui che cercherà di rendere inutile la Redenzione. Dio non indica una terza stirpe, non c’è: o si è con Cristo o contro di Lui.
Quella di sant’Ignazio, dunque, è una visione drammatica della vita e della storia dell’uomo: dalle nostre scelte dipende il destino eterno di ognuno di noi; e la vita che viviamo è una scelta di campo, è una battaglia.
L’intuizione di sant’Ignazio fu quella di costituire un ordine che, per l’appunto, traducesse nell’evangelizzazione lo spirito della militanza, della lotta e la drammaticità della storia.

L’altro pilastro, quello della fedeltà totale al Papa, è direttamente conseguente al primo. Una fedeltà nel segno della dipendenza che deve fare del gesuita – secondo la volontà di sant’Ignazio – un vero milite nella guerra per la conquista a Cristo di ogni anima. E quale milite, per ben combattere, non deve ubbidire fedelissimamente al proprio comandante? Ritorna l’immagine della meditazione dei due stendardi.
La nascita e la crescita
La storia della Compagnia è stata all’insegna di questi due pilastri.
Essa nacque nel 1539, allorché un gruppo di ex-studenti che avevano conseguito il baccellierato in filosofia e in teologia alla Sorbona di Parigi, si ritrovarono a Roma e qui decisero di costituire un ordine religioso. Essi, dopo aver fatto gli Esercizi, sotto la direzione di Ignazio di Loyola, decisero di far voto di recarsi in Terrasanta per aiutare le anime, ma anche perché convinti della necessità di riconfermare nella spiritualità cristiana quell’idea di crociata che già da molto tempo ne costituiva il centro.
L’idea della Terrasanta, però, fallì a causa della guerra tra veneziani e turchi e allora sant’Ignazio e compagni decisero di andare a Roma per offrirsi totalmente al Papa e per essere inviati in missione ovunque Egli avesse voluto.
Il 24 giugno del 1539 fu presa la decisione di fondare il nuovo ordine. Riconosciuto come capo del piccolo gruppo, sant’Ignazio presentò al Papa Paolo III una schema in cinque punti che sintetizzava la nuova istituzione; e il 27 settembre del 1540 il Pontefice l’approvò con la Bolla Regimini militantis Ecclesiae.
L’ordine si sarebbe chiamato Compagnia di Gesù. Un nome per far capire quanto, per il gesuita, Gesù sarebbe dovuto essere il centro e lo scopo di tutta la propria vita, fino all’offerta totale di essa. Il superiore sarebbe stato eletto a vita, i membri non sarebbero stati obbligati alla recita dell’Ufficio Divino e sarebbero stati legati al Papa con uno speciale voto di obbedienza, da aggiungersi ai tradizionali tre (povertà, castità e obbedienza al superiore).
Scopo della Compagnia doveva essere quello di occuparsi dell’evangelizzazione, mediante la predicazione, gli Esercizi spirituali, le opere caritatevoli, le confessioni… tutto nell’assoluta gratuità, senza ricevere alcuno stipendio né chiedere al Papa nessun aiuto materiale.
I frutti non mancarono: la Compagnia conta finora oltre 50 santi e 150 beati, tra cui molti hanno patito il martirio della fede.

Le persecuzioni
Per i grandi successi nell’attività apostolica e per la dura opposizione all’Illuminismo e al Giansenismo, la Compagnia iniziò ad essere fortemente perseguitata: fu cacciata dal Portogallo, dalla Spagna, dalla Francia, dal Regno di Napoli e dalle Colonie del Sud e del Centro America. Il 21 luglio del 1773, a causa di forti pressioni da parte di alcune case regnanti, Clemente XIV firmò il decreto Dominus ac Redemptor dove la Compagnia veniva addirittura soppressa.
In realtà, il documento non esprimeva un’esplicita condanna dei gesuiti. L’allora generale dell’Ordine, padre Lorenzo Ricci, accusato di non svelare i “tesori” dei gesuiti – che in realtà non esistevano – fu racchiuso in Castel sant’Angelo. Ma egli non si lamentò mai. Soltanto in punto di morte (1775), nel momento di ricevere il Viatico, fece una dichiarazione, in cui, dinanzi all’Eucaristia, affermava che la Compagnia non aveva dato nessun pretesto alla soppressione e che egli – personalmente – non aveva dato “motivo alcuno, seppure leggerissimo” alla propria carcerazione.
A causa della soppressione, l’evangelizzazione in Asia, in Africa e nelle Americhe subì un duro colpo.
La Compagnia però sopravvisse nella Prussia di Federico II e nella Russia di Caterina II; ma fu dopo la Rivoluzione Francese (in cui furono martirizzati molti ex-gesuiti “refrattari”) e il periodo napoleonico, Papa Pio VII, il 7 agosto del 1814 riabilitò la Compagnia con la bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum.
Si tornò a fondare collegi in molte nazioni, e in questo periodo fu anche ripresa l’attività dei Bollandisti per lo studio critico della vita dei santi.
Erano quelli i tempi del liberalismo rivoluzionario, figlio (in filosofia) dell’Illuminismo e (in politica) della Rivoluzione Francese. Erano anche i tempi del kantismo, dell’idealismo immanentistico, del positivismo e del socialismo.
I gesuiti ebbero il merito di capire i grandi pericoli di queste nuove idee. Vi si opposero e nello stesso tempo, capendo che esse, pur nelle loro differenze, miravano a distruggere la Chiesa, schierarono le loro forze in difesa del Papa.
Pio IX, da parte sua, nel 1849 volle che i gesuiti dessero vita ad una rivista che, in campo filosofico e politico, combattesse il liberalismo massonico e il socialismo. Nacque così a Napoli La Civiltà Cattolica (6 aprile 1850); e nel 1856, a Parigi, la rivista Etudes.
Le forze della Rivoluzione non si dettero per vinte: i governi liberali della Francia, della Spagna e dell’Italia espulsero i gesuiti a varie riprese. Furono espropriati i loro beni (collegi, case, scuole) e trasformati in scuole, università e ospedali statali.
Ma da queste persecuzioni la Compagnia trasse nuove vigore: crebbe numericamente, si diffuse in tutto il mondo, conservò opere importanti (come l’Università Gregoriana a Roma), i cui professori diedero un grande contributo al Concilio Vaticano I.
Importante fu anche la collaborazione dei gesuiti con san Pio X nella lotta contro il modernismo: si promosse l’insegnamento della filosofia e della teologia neoscolastica, facendo rifiorire il pensiero di san Tommaso d’Aquino, secondo le direttive già date da Leone XIII nell’enciclica Aeterni Patris del 4 agosto 1879.
Quando, dopo la Prima Guerra Mondiale, sorsero i regimi totalitari, la Compagnia li combatté fortemente… ma a costo di gravi conseguenze: alcuni gesuiti finirono nei lager tedeschi e nei gulag sovietici. E furono distrutte tutte le loro opere nei Paesi conquistati dal comunismo.

La crisi

Immediatamente prima del Concilio Vaticano II e negli anni successivi, la Compagnia ha patito una grave crisi, non riconducibile solamente al numero delle vocazioni quanto soprattutto ad una certa perdita dello spirito militante e in particolare della fedeltà totale al Papa, e quindi al Magistero. Alcune posizioni di famosi teologi come Teilhard de Chardin, de Lubac e Rahner, purtroppo, si sono distinte in questo.

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