Sottomissione urticante



Il grande merito di Costanza Miriano, a mio avviso, è quello di aver avuto il coraggio di affrontare di petto il più grande idolo del nostro tempo: un ego immenso, sproporzionato, che campeggia al centro dell’orizzonte e ci rende incapaci di vedere nulla che non sia nel nostro proprio interesse.
Henry Nouwen già negli anni ’70 notava che il grande male del nostro tempo è l’ipertrofia dell’ego, da allora questo ego gigante è cresciuto ancora, siamo tanto imbevuti di chiacchiere sul benessere, sull’autonomia, sulla necessaria realizzazione di sé, che abbiamo messo i nostri bisogni al centro dell’universo e poi ci meravigliamo se il mondo è diventato un posto in cui vivere è impossibile!
Il recente tentativo di boicottaggio che “Sposati e sii sottomessa” ha subito in Spagna in questo senso è esemplare. Sono rimasto impressionato dalla totale incapacità degli interlocutori di capire ciò di cui si stava parlando, in particolare di capire che per noi cristiani l’umiltà, che ha la sottomissione come suo necessario pendant operativo, è veramente un valore, l’incapacità cioè di capire che davvero vogliamo che il nostro ego sia messo un po’ da parte e che nessuno, proprio nessuno, ne fa una questione di sessi (forte contro debole e stupidaggini del genere) perché in una comunità di cristiani, come è una famiglia, non può che valere la corsa verso l’ultimo posto e quindi il rifiuto radicale di ogni rivalità e competizione.
Il culmine del grottesco a mio parere lo ha toccato un sacerdote, che non nomino per Carità cristiana, che in un commento su FB si spingeva fino a violentare il testo biblico definendo Maria come l’umile-non-sottomessa (che è poi un ossimoro che non significa nulla, un po’ come un cerchio quadrato), come se esistesse una “vera” umiltà che non consiste nell’abbassamento di sé e nella ricerca dell’ultimo posto. Abbiamo tanta paura di contristare lo spirito del mondo che non ci facciamo nessuno scrupolo di contristare lo Spirito di Dio. Lo dico con vergogna: come siamo deboli!
Ma cosa sarà la corsa all’ultimo posto, cosa sarà il gareggiare nello stimarsi a vicenda (Rom. 12,10), cosa sarà il considerare in tutta onestà l’altro migliore di sé (Fil. 2,3), se non un gioioso sottomettersi l’un l’altro per amore di Cristo (Ef. 5,21)? E cosa resta dell’umiltà se le togliamo la sottomissione? Solo un vago sentimentalismo temo, incapace di convertire un cuore e senza nessuna fecondità.
L’umiltà, la sola che esista, resta invece la più profonda e vera virtù cristiana, è l’anima e il principio di tutte le virtù, è quella che accende l’amore di Dio verso di noi, come mirabilmente insegna S. Bernardo. Senza umiltà (e quindi senza sottomissione) nessuna virtù è virtuosa, nessun bene è duraturo, nessuna relazione è stabile.
La sgangherata campagna d’odio contro il libro di Costanza mostra un nervo scoperto, echeggia il rifiuto demoniaco dell’umiltà, quel grido “non serviam” al suono del quale Lucifero fu precipitato, per questo dico che il grande pregio (forse involontoario, almeno all’inizio) del lavoro di Costanza è di aver portato il dibattito nel suo centro esatto, lì dove si gioca la vera partita in questione, che è poi quella del senso della vita, se cioè abbia più senso una vita spesa nel servizio o una vita spesa nella costante ricerca di sé e del proprio benessere.
Varrà allora la pena di ricordare che nella lettera ai Filippesi S. Paolo lega inscindibilmente umiltà e gioia, che non c’è vera gioia senza umiltà, perché solo chi è umile è capace di gratitudine e di stupore, che sono poi la materia prima della gioia.
Insomma in una parola il paradosso cristiano è che solo chi si sottomette può essere felice! Perché come dice il padre Dante “E ‘n la sua volontade è nostra pace” (Paradiso III,85). Costanza non fa altro che applicare questo ragionevolissimo principio, universalmente condiviso nella spiritualità cristiana, al matrimonio.

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