Entrevista del Observatorio Internacional Cardenal Van Thuân sobre la Doctrina Social de la Iglesia al profesor Miguel Ayuso, director de la revista VERBO.
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Intervista al prof. Miguel Ayuso Torres – magistrato e docente di Diritto Costituzionale alla Pontificia Università Comillas di Madrid, Direttore della rivista cattolica “Verbo”, Presidente dell’Unione Internazionale dei Giuristi Cattolici – a margine del 46mo Convegno annuale degli Amici di Instaurare svoltosi il 23 agosto scorso presso il Santuario di Madonna di Strada a Fanna (Pordenone) sul Sessantotto.

Sullo stesso argomento si veda qui la cronaca di Fabio Trevisan (leggi) e l’intervista a Daniele Mattiussi (leggi).

Professore, si parla, in genere, di Sessantotto nel senso di “contestazione”. In campo politico cos’è che si voleva contestare dal momento che le ideologie protestantiche e social-comuniste avevano già avuto un loro successo?

Un pensatore francese, Jean Madiran, direttore della nota rivista “Itinéraires”, fece notare mentre era in corso la “contestazione” nel maggio del ’68 una cosa molto interessante: si trattava di una rivoluzione contro un ordine che non era più un ordine. Il Sessantotto, dunque, risaliva a premesse che erano state poste da movimenti ideologici già in atto. Esso rappresentò, però, una accelerazione e una radicalizzazione del processo rivoluzionario che nella fase precedente aveva conservato elementi dell’ordine naturale e cristiano che appunto andavano cancellati. Il Sessantotto si propose questo fine.

Il Sessantotto è il compimento della rivoluzione o della riforma, in senso moderno, oppure è un tradimento del concetto di rivoluzione (per esempio marxista)?

Come appena detto, si trattava di portare a termine il processo rivoluzionario, Esso non è stato, quindi, tradito ma continuato e per quanto possibile realizzato. Le interpretazioni secondo le quali il Sessantotto sarebbe un prodotto del marxismo non sono in grado di cogliere questa realtà. Il Sessantotto è, piuttosto, espressione del liberalismo, in particolare di quello più coerente e radicale.

Si potrebbe essere tentati di pensare che, in fondo, lo spirito della riforma o della rivoluzione avesse impregnato già completamente la modernità, senza aspettare il Sessantotto. Perché, allora, parlare di politica e di diritto dopo il Sessantotto? È cambiato qualcosa nel concepire lo Stato liberale e nazionale dopo la contestazione?

La modernità non è altro che lo spirito della Riforma che politicamente si è incarnata nella rivoluzione. Il Sessantotto, pertanto, appartiene al mondo moderno, anzi segna il passaggio dalla modernità alla postmodernità. Questo passaggio è rilevante anche sotto un altro aspetto: esso infatti comporta l’abbandono degli elementi naturali che lo Stato moderno e la legislazione pre-’68 conservavano nonostante le loro premesse rivoluzionarie. A questo proposito si potrebbe ricordare il colloquio tra l’allora cardinale Joseph Ratzinger e l’ideologo socialdemocratico Jürgen Habermas. Il primo si è appellato alla dottrina di Böckenförde, secondo la quale lo Stato liberale si fonderebbe su basi che non può garantire. Cosa che è indubbiamente vera. Va osservato però che lo Stato liberale distrugge piuttosto quelle basi. Questione sulla quale il cardinale Ratzinger tacque.

In che modo il diritto ha risentito del cambio di paradigma su molte questioni legate all’etica (aborto, divorzio …). Perché la Chiesa sembra aver agito poco per bloccare la deriva nichilista, ateista, secolarista dei contestatori?

L’apparente cambio di paradigma (in realtà la “contestazione” continua la dottrina liberale anche a questo proposito) investe la natura stessa del diritto, in particolare di quello soggettivo. Il prof. Castellano ha osservato che il diritto soggettivo è stato trasformato in semplice pretesa, il che ha comportato i “nuovi diritti” che diritti non sono. Il mondo cattolico ha subito all’epoca un processo di evizione della dottrina classica, processo parallelo a quello della “contestazione”, che ha trovato il suo momento zenitale con il Concilio Vaticano II, anche se le sue radici andrebbero cercate, in verità, nei decenni precedenti.

In che modo le suggestioni filosofiche e politiche dei pensatori cristiani (Maritain e Rahner per esempio) si sono alleate con quelle delle scuole marxiane (Sartre, Foucault, Scuola di Francoforte)?

Maritain contribuisce in maniera notevole a diffondere l’americanismo: pertanto egli induce il mondo cattolico ad accettare la libertà moderna, che Rahner in maniera più profonda porta alle conseguenze estreme. Anche altri autori, non appartenenti al mondo cattolico, sostenevano allora le stesse tesi. Fra questi quelli da lei citati i quali erano marxisti perché liberali.

Ci sono delle analogie tra il Sessantotto politico italiano, spagnolo e francese (anche tedesco)? E quali le differenze?

Il Sessantotto ha un minimo comune denominatore. Nei vari Paesi esso si sviluppa in modo parzialmente diverso a seconda delle tradizioni culturali e delle condizioni sociologiche. In alcuni Paesi come la Germania e la Francia (dove l’influsso protestante è molto forte) la “contestazione” assume connotazioni rivoluzionarie soprattutto contro e all’interno delle istituzioni civili; in altri, come per esempio l’Italia – mi sembra -, essa investe anche aspetti più propriamente politici e persino ecclesiali. Questo è anche il caso della Spagna dove ci sono tuttavia alcune particolarità. Il generale Franco, infatti, aveva lasciato la cultura in mano ai liberali e ai marxisti e la politica era stata svuotata dalla tecnocrazia. La Chiesa spagnola, da parte sua, dopo il Sessantotto rafforzò la svolta conciliare e i risultati furono semplicemente disastrosi.

http://www.vanthuanobservatory.org/ita/il-vero-volto-del-sessantotto-parla-il-prof-ayuso/