L’imbattibile Tercio

Attilio Conte




Nacque ufficialmente nel Regno di Napoli, al termine della conquista effettuata dal Gran Capitán nel 1503: la possente fanteria ispanica, il Tercio, fu il primo esercito professionale dell’epoca moderna, una formidabile macchina da guerra, dotata di un raro codice d’onore, praticamente imbattibile. Divenne vulnerabile solo con l’evoluzione delle armi da fuoco. Tramontò il mito di invincibilità dei Tercios, ma non la potenza imperiale ispanica.

“España mi natura, Nápoles mi ventura, Flandes mi sepultura”: è un motto del Tercio ispanico, la possente fanteria che per oltre un secolo dominò i campi d’Europa ed il cui declino coincise con quello dell’Impero ispanico. Se abbastanza note sono le vicende di questa formazione, meno noto è il fatto che essa nacque ufficialmente nel Regno di Napoli al termine della conquista effettuata dal Gran Capitán nel 1503 (secondo alcuni storici, deve il suo nome proprio al fatto che un terzo dell’esercito ispanico era a Napoli, gli altri due a Milano e in Sicilia) e le prime formazioni presero successivamente la denominazione di Tercio viejo de Nápoles, de Sicilia e de Lombardía: viejo, antico, in quanto appunto le prime rispetto a quelle successive, che prendevano il nome dai propri comandanti o Maestri di campo (Tercio di Spinola, Alburquerque, Carafa, Cantelmo, etc.)

Tommaso Caracciolo

Tra i napolitani che combatterono nel Tercio, emblematica è la vicenda di Tommaso Caracciolo (1572-1631), che in 43 anni di servizio da semplice fante divenne generale e ricevette il titolo di Duca di Roccarainola; essa rappresenta la particolarità dell’esercito ispanico, il cui spirito sarà sintetizzato da Calderón de la Barca nei versi del dramma Para vencer à amor, querer vencerle (1650), messi in bocca al capitano “italiano” Cesare Colonna:

«Questo esercito che vedi | che marcia al gelo e sotto il sole cocente, | è lo Stato migliore | e il più meritocratico | del mondo, in cui nessuno pretende | di essere preferito | per la nobiltà che ha ereditato, | ma per quella che si guadagna; | perché qui il sangue è superato | dal posto che ognuno si crea | e, senza guardare alla sua nascita, | si guarda come si comporta».

Primo esercito professionale dell’epoca moderna, pagato direttamente dal sovrano e a lui solo rispondente, perfettamente organizzato nei suoi spostamenti (il cosiddetto Cammino spagnolo, che univa Milano alle Fiandre) e nel suo vettovagliamento attraverso una rete di rifornimenti ben pagati (mentre gli altri eserciti si “servivano da soli”, saccheggiando le zone che attraversavano), il Tercio, oltre ad essere una formidabile macchina da guerra, possedeva – a differenza dei mercenari lanzichenecchi – un raro codice d’onore («perché la milizia non è altro che un ordine religioso di uomini onorati», per citare ancora Calderón), che andava dal diritto dei veterani a battersi in prima linea alla decisione di farsi massacrare dal nemico piuttosto che arrendersi, giusta il motto: «Solo tras de muertos capitularemos» («ci arrenderemo solo da morti»).

Non è un caso che il citato Tommaso Caracciolo così rispose al Duca di Savoia, il quale, avendolo preso prigioniero in battaglia, gli offriva la libertà, purché si impegnasse a non servire più la Spagna in quel conflitto: «Tali attioni non erano da suoi pari, che prima voleva morir in carcere che far cosa che non li fusse d’honore».

Le rare sconfitte

E parimenti non è un caso che le battaglie più epiche del Tercio non furono le numerosissime vittorie, bensì le rare sconfitte, come nell’assedio di Castelnuovo (1539) e sul campo di Rocroi (1643). Il primo episodio vide 4.000 soldati del Tercio de Nápoles assediati da 50.000 turchi: i Turchi conquistarono la fortezza montenegrina, ma lasciandovi la metà dei propri uomini, poiché i soldati ispanici combatterono fino all’ultimo.

Il secondo evento, dove il Tercio napoletano era affidato al pugliese Giovanni delli Ponti, viste le conseguenze, fu più una mancata vittoria che una sconfitta (in caso di esito positivo, l’esercito francese avrebbe potuto attaccare Parigi; la sconfitta invece non modificò la situazione bellica, nonostante abbia rappresentato un gravissimo colpo psicologico), ma una sconfitta gloriosissima, con l’esercito che preferì rimanere fino all’ultimo sul campo nonostante – proprio in visione del suo valore – gli fosse stato concesso di ritirarsi con armi e bandiere.

Ma, oltre all’indomito coraggio, il Gran Capitán, Gonzalo Fernández de Córdoba (1453-1515) ebbe l’intuizione di creare una formazione innovativa, che unisse la solidità di una falange di picchieri alla potenza di fuoco dei primi rudimentali archibugi e moschetti. Per far ciò, nel 1505, quando era Viceré di Napoli, egli introdusse le cosiddette colunelas (colonne), corpi misti di 1000-1200 uomini formati da lanceri, alabardieri e archibugieri, a loro volta suddivise in compagnie (ogni colunela contava cinque compagnie). Si trattava di una novità importante, basata su una razionale concezione dell’impiego delle armi, che segnerà il definitivo passaggio dagli eserciti medioevali a quelli rinascimentali. A capo di ciascuna colunela c’era un ufficiale, chiamato cabo de colunela, dal cui nome deriva l’attuale grado di colonnello.

Al cuore della fanteria

Negli anni seguenti i Tercios assunsero la loro forma definitiva, divenendo il nucleo principale della fanteria spagnola. Ognuno di essi era dotato di una catena di comando fissa, tale da renderlo un’unità perfettamente autonoma. Come ulteriore evoluzione della colunela, ogni Tercio era composto da 3000 uomini, disposti secondo uno schema geometrico ben preciso. Un quadrato di picchieri, di solito profondo dieci linee, formava il cuore dello schieramento, agendo come “rullo compressore”. Questi 1500 uomini erano armati di lance lunghe quattro o cinque metri, mentre nelle loro file erano inseriti più o meno altri 1000 soldati armati di spada e scudo, nel caso di scontri corpo a corpo col nemico.

A rendere il Tercio completo erano infine i 500 archibugieri, sostituiti poi dai moschettieri. Questi ultimi venivano collocati agli angoli del grande quadrato di picchieri, in quattro quadrati più piccoli (chiamati mangas cioè maniche), profondi cinque linee, garantendo una copertura di fuoco alla formazione principale.

Le mangas erano insomma la parte flessibile dello schieramento, più agile e quindi adatta alla difesa del quadrato dei lanceri. Man mano che aumentò l’utilizzo delle armi da fuoco negli scontri, il numero dei moschettieri crebbe a scapito dei soldati muniti di spada e scudo. Schierato, il Tercio doveva assomigliare ad una invalicabile fortezza mobile, quasi impossibile da sfondare.

Oltre ai combattenti, il Tercio prevedeva furieri, medici, un esperto di diritto per le cause civili e penali del foro militare (l’auditor) e naturalmente, cappellani per l’assistenza spirituale.

Imbattibili

Dislocati in tutte le province europee sotto il controllo spagnolo, i Tercios sono stati definiti dagli storici militari come le prime formazioni tattiche permanenti comparse in Europa dai tempi della coorte romana.

Nonostante altre nazioni europee tentassero di imitare il modello della fanteria spagnola, per tutto il Cinquecento i Terciosfurono praticamente imbattibili; iniziarono a divenire vulnerabili con l’evoluzione sempre più veloce delle armi da fuoco: il “fuoco di fila” nella battaglia di Neoporto (o Nieuwpoort, 1600), ideato da Maurizio di Nassau e perfezionato a Breitenfeld (1631) da Gustavo Adolfo di Svezia, scompaginò le file imperiali, causando forti perdite.

Se a Rocroi tramontò definitivamente il mito di invincibilità dei Tercios, ma non la potenza imperiale ispanica (sei mesi dopo, a Tuttlingen, i Francesi subirono una solenne sconfitta), sarebbe stato nella battaglia delle Dune (o di Dunkerque, 1658) che Filippo IV comprese di non poter far altro che accettare un accordo con Luigi XIV.

E per la potenza spagnola – e quindi anche per la Napoli ispanica – sarebbe stato l’inizio della fine.


https://www.radioromalibera.org/cult...tibile-tercio/