San Turibio di Mogrovejo, il sant’Ambrogio dell’America meridionale
San Turibio di Mogrovejo, Patrono dell’Episcopato latinoamericano e vero fondamento del cattolicesimo sudamericano. Poco conosciuto in Italia, la sua opera apostolica come arcivescovo di Lima dal 1579 al 1606 è stata tuttavia paragonata da papa Benedetto XVI a quella di sant’Ambrogio e di san Carlo Borromeo.
Santo Turibio nasce a Mayorga, in Spagna, il 18 novembre 1538. Da studente si distingue per la sua grande pietà cattolica oltreché per lo zelo negli studi. Nel 1568 consegue la licenza di diritto presso l’Università di Salamanca e, cinque anni dopo, viene nominato Presidente del “Consejo de la Inquisición de Granada”, vale a dire del Tribunale dell’Inquisizione. Questa carica lo pone in stretto contatto con le alte sfere del potere, richiamando l’attenzione perfino del Re, Filippo II.
Arcivescovo di Lima
Considerando le sue notevoli qualità, sia spirituali che professionali, e nonostante fosse un semplice laico, nel 1579 Filippo II lo propone a papa Gregorio XIII come successore del primo arcivescovo di Lima, il domenicano Jerónimo de Loaysa, morto poco prima.
Turibio dubita. La carica gli sembra al di sopra delle sue capacità. Dobbiamo ricordare che, a quell’epoca, l’arcidiocesi di Lima comprendeva praticamente la metà dell’America del Sud, con un’estensione territoriale di quasi 7 milioni di chilometri quadrati.
Dopo tre mesi di esitazione e di preghiera, Turibio de Mogrovejo accetta. Viene ordinato sacerdote a Granada e, successivamente, consacrato vescovo a Siviglia. L’arcivescovo consacrante voleva conferirgli tutti gli ordini minori in un solo giorno. Per umiltà e per poter meglio prepararsi, egli chiede invece di riceverne uno ogni settimana.
Giunto a Lima nel 1581, trova una situazione molto difficile. Mezzo secolo dopo la conquista spagnola, l’organizzazione del viceregno andava certo consolidandosi, ma lasciava ancora troppi spazi per gli abusi, sia in campo civile che ecclesiastico.Con l’aiuto del viceré Martín Henríquez de Almansa tiene il primo Sinodo Diocesano di Lima, al fine di prendere la situazione fermamente in mano. Inizia quindi un sistematico lavoro di risanamento spirituale, denunciando gli scandali e osteggiando i vizi. Forte della sua esperienza come inquisitore, riprende dal pulpito i peccatori pubblici, non esitando ad applicare le sanzioni canoniche.
Questo ovviamente gli aizza contro molto odio, cui risponde: «L’unico a cui debbo rendere conto è Dio Nostro Signore! Solo Lui devo tenere contento». A chi gli faceva notare che certe cose ormai costituivano un costume, egli replicava:«Cristo è verità, non costume».
I concili limensi
Santo Turibio è ricordato in modo particolare per la sua gigantesca opera di organizzazione e sviluppo della vita ecclesiastica nell’America meridionale. È propriamente quest’opera di fondazione che lo accomuna alle figure di sant’Ambrogio e di san Carlo Borromeo, patroni della diocesi milanese. Nel 1583 convoca un concilio provinciale di tutta l’America meridionale, noto come III Concilio Limense, di importanza capitale per l’ulteriore sviluppo della Chiesa nel continente. Seguono due altri concili provinciali nel 1591 e 1601 (IV e V Concili limensi), e ben 10 sinodi diocesani.
San Turibio si preoccupa anzitutto della formazione spirituale degli spagnoli, poiché capisce che essi sono l’élite il cui esempio – buono o cattivo – si diffonde poi per tutto il corpo sociale. Se la testa è marcia, il corpo non può prosperare. Comprende pure però che il futuro sta nella conversione e, quindi, nell’educazione della popolazione indigena, che costituiva la stragrande maggioranza. Impara alla perfezione le lingue quechua e aimara, e dedica buona parte dell’attenzione dei Concili limensi alla pastorale indigena.
Missionario infaticabile
Per niente intimorito dall’immensa estensione della diocesi, nel 1582 egli inizia la sua prima visita pastorale, cui ne seguiranno altre due. Questa prima visita dura addirittura sette anni. Viaggiando per lo più a piedi, egli attraversa ardenti deserti, valica montagne coperte di neve, penetra nelle foreste vergini, giungendo dove mai l’uomo bianco aveva messo piede.
Nel corso della vita, percorrerà ben 40.000 chilometri. Sebbene accusato di rimanere troppo tempo lontano da Lima, in realtà sono proprio questi viaggi che gli permettono di prendere fermamente in mano il governo della diocesi. Non di rado egli dorme sotto le stelle, anche con le rigide temperature andine, oppure accetta l’umile ospitalità di qualche famiglia indigena. Chi lo accompagnava rende testimonianza che, durante il viaggio, parlava molto poco, preferendo restare in preghiera. Il suo volto, dicono, si illuminava come quello di Mosè scendendo dal Monte Sinai.
San Turibio si trattiene alcuni giorni in ogni villaggio, celebrando la Santa Messa, sentendo le confessioni, dando la Prima Comunione ai neofiti e cresimando i veterani. Alla fine della vita, invierà una lettera al Re raccontando che, nel corso del suo ministero, aveva cresimato più di 800.000 persone!
Fra i suoi cresimandi si annoverano ben tre santi di questa prima fioritura della Chiesa latinoamericana: la “creola bianca” santa Rosa da Lima, lo spagnolo san Francesco Solano e il mulatto san Martino di Porres, quest’ultimo a volte paragonato a sant’Antonio di Padova per la quantità e la meraviglia dei suoi miracoli.
Non mancano i pericoli. Una volta una tribù feroce attacca la carovana al suono di tamburi da guerra. Vedendo però la venerabile figura dell’arcivescovo, cadono in ginocchio, chiedendo di essere indottrinati. San Turibio si trattiene parecchio tempo nel loro villaggio.
Governo della diocesi
Il nostro santo è un grande lavoratore. Si alza molto presto e, dopo le preghiere del mattino, inizia subito a sbrigare gli affari. Ai suoi collaboratori ripete sempre:
«Il nostro grande tesoro è il momento presente. Dobbiamo approfittarne per guadagnare la vita eterna. Il Signore ci chiederà conto di come abbiamo utilizzato il nostro tempo».
Fonda il Seminario diocesano di Lima, il primo in America; vieta ai religiosi di occuparsi della direzione delle parrocchie, costringendoli a fare i missionari; fonda ovunque nuove parrocchie. Le cronache raccontano anche la sua grande generosità. Durante un’epidemia giunge perfino a regalare la sua camicia ad un indigente, dicendogli: «Se ne vada via, subito, non vorrei che arrivi mia sorella e si renda conto che ormai non ho nessuna camicia di ricambio!».
Trovandosi in visita pastorale nella Valle di Pacasmayo, a 440 chilometri da Lima, si ammala gravemente e sente arrivare la fine. «Desidero vedermi libero dei legami di questo corpo – dice – vorrei essere totalmente libero per trovare Gesù Cristo».
Ormai moribondo, chiede ai circostanti che cantino il Salmo 122: «Mi son rallegrato quando m’hanno detto: andiamo alla casa del Signore». Le sue ultime parole sono: «Nelle tue mani consegno il mio spirito». Era il 23 marzo 1606.
Portato in grande pompa a Lima, il suo corpo viene trovato incorrotto ancora un anno dopo. La sua fama di santità fa sì che molte persone comincino a domandargli grazie e miracoli, che egli non manca di concedere. Inizia quindi il suo processo di beatificazione, che giunge al termine nel 1726 con la sua solenne canonizzazione ad opera di papa Benedetto XIII.
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