Quell'odio immotivato contro san Junipero Serra
Angela Pellicciari
Col pretesto della causa anti-razzista hanno abbattuto la statua di Junipero Serra (1713-1784) il francescano che evangelizzò la California. Percorse centinaia di chilometri per battezzare ed evangelizzare gli indio, seppe "andare incontro ai tanti imparando a rispettare le loro usanze" come disse Papa Francesco proclamandolo santo
C’è un popolo più spietato e sanguinario degli spagnoli? Ovvio che no. La leggenda nera antispagnola si è imposta ovunque tanto bene e con tale capillarità che non c’è bisogno di prove. E’ così e basta.
Ci sono indio e meticci in America Latina? Sì, e in grande abbondanza. Ci sono indio e meticci in America settentrionale? Pochissimi e rinchiusi nelle riserve. Epperò, siccome è noto che gli spagnoli sono stati i peggiori colonizzatori di sempre, siccome è altrettanto noto che la chiesa cattolica è quanto di più inumano, violento e sanguinario esista, bisogna affrettarsi ad abbattere le statue di fra’ Junipero Serra (1713-1784), il francescano minore apostolo della California. Perché? Per strano che posa sembrare in nome dei “black lives matter”, in difesa dei neri americani ridotti in schiavitù e fino a qualche decennio fa rigorosamente separati dalla comunità bianca. Trattati così dai francescani e dagli spagnoli? No, dai wasp (bianchi, anglosassoni, protestanti).
Tutte le maggiori città californiane hanno nomi di santi e angeli: Los Angeles, San Francisco, San Diego, Santa Barbara, Santa Fe, Sacramento, tanto per citarne alcune. Come mai nomi tanto strani? Per il genio di imprenditore missionario di Fray Junipero Serra. Siamo a metà del Settecento quando a Madrid con Carlo III di Borbone regna il dispotismo illuminato (gran bel nome, non c’è che dire!) che, per conto della luce della ragione, impone la soppressione della Compagnia di Gesù con l’incameramento dei rispettivi beni. Cacciati nel 1767 i gesuiti anche dalle missioni americane (nel giro di 24 ore i padri debbono sgomberare tutti i conventi), la corona incarica i francescani di prendere il loro posto.
Questo il contesto in cui il teologo Serra, nativo di Palma di Maiorca, con energia infaticabile e nonostante le tante sofferenze che gli procura una ferita alla gamba, percorre spesso a piedi centinaia di chilometri pur di battezzare e cresimare gli indio di quei territori. Fra’ Serra pianifica e in buona parte realizza il Camino real: una strada che percorre da nord a sud la costa californiana, con la fondazione di 21 conventi fortificati a più o meno un giorno di distanza l’uno dall’altro, in modo da consentire ai frati mutua protezione e collaborazione in difesa dagli indio che non di rado sono aggressivi (ne sanno qualcosa i calvinisti che li hanno sterminati?).
Ancora oggi i bei conventi edificati da Junipero e dai francescanisono lì a mostrare in che modo gli indio siano stati evangelizzati. Al centro dei conventi c’è, come ovvio, la chiesa, mentre addossate alle mura perimetrali sono affiancate l’una all’altra varie botteghe dove gli indio imparano i mestieri più necessari. Se, in California, si vuole ammirare qualcosa di antico, bisogna visitare le cappelle e i conventi delle missioni francescane.
Serra e i francescani commettono genocidi? Come nel resto dell’America molti sono gli indio che muoiono per contagio epidemico. Serra è razzista? Come dice papa Francesco che lo ha dichiarato santo, fra’ Serra ha “saputo andare incontro a tanti imparando a rispettare le loro usanze e le loro caratteristiche” e ha “cercato di difendere la dignità della comunità nativa, proteggendola da quanti ne avevano abusato”. Ciononostante una statua di Fray Junipero è stata appena distrutta a San Francisco, mentre gli spagnoli dal canto loro hanno colorato di un bel rosso-sangue la statua di Palma di Maiorca. E’ tornato in modo prepotente l’odio verso la nostra storia e la nostra identità. L’odio che ha portato Gesù a morire in croce.
https://lanuovabq.it/it/quellodio-im...junipero-serra
Junípero Serra: l’ideale di un impero cristiano nel Pacifico settentrionale
(Bartomeu Font Obrador* Associazione Tradizione Famiglia e Proprietà – agosto 2020)
1. Maiorca: culla e radici
Gli onori meritatamente tributati in tutti i continenti a fra Junípero Serra, non ci devono far dimenticare le radici e l’anima maiorchine di questo francescano, dal corpo esile ma dall’anima gigante.
La vitalità delle sue radici affonda nel suolo benedetto dell’Isola Dorata, come i suoi millenari ulivi baciati dal sole mediterraneo. Junípero non ha improvvisato il suo ministero; l’ha invece maturato nell’arco di un’intera vita, assorbendo con lenta efficacia le virtù domestiche, la saggezza contadina, l’intensa religiosità, la frugalità, la tenace pazienza nel lavoro, l’onestà di condotta, la serena tranquillità, il senso pratico e la fiducia nella Provvidenza, tutte caratteristiche dei maiorchini. Questi chiamavano la loro isola “sa Roqueta” (piccola roccia), un concetto al quale si aggrappavano anche quando dovevano varcare gli oceani. È in questi termini, per esempio, che l’allora Presidente delle Missioni della Bassa California e discepolo di Junípero, fra Francisco Palou, si riferiva nostalgicamente a Maiorca in una lettera al suo maestro nel 1773.
A questo caposaldo, Junípero aggiunse poi la spiritualità francescana. Lunghi anni di disciplina ascetica modellarono la sua personalità sullo spirito del Serafico Padre San Francesco. Poi venne anche la formazione intellettuale e la docenza universitaria. Già lettore di Filosofia al Reale Convento di San Francisco a Palma di Maiorca, fu designato ordinario di Teologia Scotista all’Università Lulliana ad appena trentuno anni. Fra Junípero alternava il magistero universitario con l’attività pastorale. Predicatore molto ricercato dalle parrocchie e dai conventi di Maiorca, ne ricordiamo due importanti sermoni nel Duomo in occasione del Corpus Domini. Conosciamo anche quattro sermoni in lingua maiorchina tenuti nel convento di Santa Clara, uno dei quali intitolato: “Dio è benigno quando perdona”.
2. Anima di poeta
La grazia non cancella la natura ma la perfeziona. All’apice del suo ministero accademico e pastorale, Junípero capì che l’amore di Cristo lo sollecitava a fare partecipi di questo suo sentimento tutti gli esseri umani, e particolarmente i più indigenti. Egli dunque partì alla volta dell’America dove, sempre più identificandosi con San Francesco e abbracciando con forza crescente la Croce, nei restanti trentacinque anni di vita, l’ex-cattedratico impartì le sue lezioni ai più disagiati dei figli di Dio: gli indios.
Egli dunque visse la sua missione con anima francescana. Gli affanni pastorali non gli impedivano di esaltare le stelle della Sierra Gorda, di ammirare l’impervio paesaggio dell’Alta California, di cantare la bellezza delle rose di Castiglia piantate lungo il Camino Real, di ringraziare Dio per l’abbondanza dei frutti silvestri. Fra Junípero trovava sempre tempo per meravigliarsi della gracile agilità dei cervi, del soave volo dei gabbiani, del goffo incedere dei terribili orsi bruni. Con squisita sensibilità ecclesiale, egli imponeva nome di santi alle missioni che fondava, a valli, montagne e fiumi, quale incantevole litania francescana a decorare la variegata geografia della costa californiana.
Prima di tutto, però, egli desiderava le anime degli indios, quei figli di Dio nudi ma belli e ben proporzionati, che vagavano nelle immense distese del deserto col quale vivevano in perfetta armonia. Era gente che nasceva in un buco nella terra, dove la madre per riscaldarsi si sdraiava su un letto di brace coperta da erbe; esseri umani che contavano i giorni con le ghiande e ritenevano i frati figli delle mule che cavalcavano, come il cucciolo portato dalla madre. Ogni volta che fra Junípero incontrava un nuovo indio, egli pregava: “Dio, fai di lui un santo!”. Insegnava agli indios a salutarsi con questa formula: “Amare Dio! Amare Dio!”. Egli ben sapeva quanto erano costate a Gesù Cristo queste creature, e non risparmiò sforzo, fatica, sudore né sofferenza pur di attirarli a Dio. Nel chiedere nuovi missionari, egli non nascondeva l’estrema durezza del compito. Li voleva “innamorati di Cristo” giacché, secondo quanto scriveva al suo Superiore in Messico, “per chi ama tutto riesce facile”. Era d’altronde molto frugale: “Finché godiamo di buona salute, e abbiamo una frittata di erbe silvestri, cos’altro possiamo ambire?”.
Ecco il suo compito: imparare lingue rudi e strane, amare con tenerezza gli indios, condividendone le sofferenze, esporsi a mille pericoli, a volte affrontando le frecce avvelenate. Insomma, insegnare a queste tribù a vivere civilmente, guadagnando fedeli per la Chiesa Cattolica e sudditi per il Re di Spagna. Il tutto con spirito francescano, nella semplicità e nella gioia dell’abbandono totale alla Provvidenza. Ecco la formula del suo successo.
3. Predicatore Apostolico
Nominato Predicatore Apostolico, fra Junípero si imbarcò a Cadice il 20 agosto 1749 alla volta del Messico. In una lettera indirizzata al suo amico padre Francisco Serra, del Convento di San Bernardino, egli così esternava la sua gioia. “È la cosa più bella che mi potesse succedere. È più di ciò che i miei genitori potessero desiderare per vedermi ben sistemato”. Nella stessa lettera spiegava che il movente di tale gesto non era altro che l’amore di Dio: “Per primo viene l’amore di Dio. La cosa più importante è fare la volontà di Dio. È per causa del Suo amore che ho lasciato i miei”. Ecco il suo scopo: “Sappiate che ho intrapreso questo cammino perché vorrei essere un buon religioso”.
Il suo biografo Francisco Palou spiega che questa drastica sterzata “si dovette a un grave dispiacere subito”. Quale? Inutile indagare. Importa solo rilevare che corrispondeva a un cambiamento di vita sostanziale. E Dio è sempre presente in tali momenti. Così Paolo, Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola e tanti altri. Junípero non fu un’eccezione.
Da buon figlio, egli rivolse un pensiero alla mamma Margherita, che aveva sempre pregato per lui: “Allora, madre mia, forse è proprio per le tue preghiere che Dio mi ha messo su questa strada. Siate soddisfatta con la volontà di Dio e dite continuamente: Benedetto sei tu o Dio e che sia fatta la tua volontà!”. Ecco una bellissima giaculatoria che racchiude tutta la spiritualità di fra Junípero.
Junípero lasciava alle spalle la sua terra, i suoi genitori, la sorella, il cognato, il nipote (il futuro Miguel de Petra, zelante cappuccino nonché insigne architetto e matematico), la cugina, zii, amici e conoscenti. Lasciava i suoi confratelli di religione, i suoi superiori, maestri e discepoli. Lasciava anche la sua promettente carriera universitaria. Dodici anni di magistero lo avevano, infatti, consacrato come un grande intellettuale ed esimio oratore. Commentando un suo sermone del 25 gennaio 1749, un professore a lui per niente favorevole, esclamava: “Questo discorso merita di essere stampato a caratteri d’oro!”.
Junípero si congedò dal suo paese natio predicando i sermoni di Quaresima dal 19 marzo al 6 aprile nella chiesa di San Pedro di Petra e, successivamente, quello del martedì di Pasqua nel santuario della Vergine di Bonany, patrona dell’isola, alla quale dedicò il suo ultimo pensiero prima di partire.
4. Difesa dell’Immacolata Concezione
La devozione di fra Junípero per la Madonna trae origine dall’Ave Maria che sua madre gli faceva recitare ogni mattina e sera, consolidandosi poi con la frequentazione delle festività mariane nel vicino convento di San Bernardino, dove entrò a fare parte del coro. Aveva infatti una voce molto dolce e melodiosa, che conservò fino a tarda età.
Era nota la sua particolare devozione alla Madonna di Bonany, davanti alla quale, cinque giorni prima di intraprendere il suo viaggio senza ritorno, egli tenne un sermone sul tema “Annuncia alle genti le meraviglie del Signore”, un vero presagio della gesta apostolica che lo aspettava nel Nuovo Mondo. La prima bimba indigena da lui battezzata ricevette il nome di Maria Bonany.
Fra Junípero nutriva un amore specialissimo alla Vergine di Guadalupe. La nave che lo condusse al Nuovo Mondo si chiamava Nuestra Señora la Virgen de Guadalupe. Arrivato in Messico, si recò subito al santuario del Tepeyac il 31 dicembre 1749 per ringraziare la Madre di Dio. Più tardi, intronizzò la sua effige nella chiesa della missione di Santiago di Jalpan, e ne fece dipingere un quadro all’artista indigena José Paez per la missione di San Juan Capistrano.
Predicava con fervore l’Immacolata Concezione col titolo di Purissima Prelata, alla quale dedicò una litania pubblicata nel 1765. Mai dimenticò la sua promessa di difendere il mistero dell’Immacolata Concezione, attirando perfino l’attenzione dell’Inquisizione in seguito ad un trattato dal titolo Novena di lode in onore della Purissima Concezione di Maria Santissima col titolo di Prelata. Eccone alcuni passaggi che mostrano l’espressiva delicatezza dell’autore:
“Siate, Signora, Aurora che annuncia le nostre gioie, Ancora alla quale ormeggiare per non essere travolti dalla vita, Arma per difenderci dai nostri nemici, Alimento per non infiacchire il servizio del Vostro Figlio. Avvocata per ottenere la felicità finale, cosicché il nostro ultimo Alleluia sulla terra si intrecci col primo Alleluia in Vostra ammirevole compagnia e per tutta l’eternità. Amen”.
Nel 1770, in occasione della fondazione della missione di San Carlos Borromeo, fra Junípero ottenne dal Visitatore Generale l’immagine di Nostra Signora di Belén, che intronizzò sotto una grande quercia col titolo di “Conquistadora”.
5. La festa dei mietitori
Siamo sicuri che, dall’alto del suo trono immortale, fra Junípero ci starà ringraziando per ricordare in questa sede alcuni dei suoi compagni che hanno condiviso con lui le fatiche apostoliche in California. Su di loro non si è accesa la luce della fama come sul loro maestro. Ciò nondimeno, sono anche loro degni della gloria dei grandi missionari che hanno evangelizzato il Pacifico settentrionale.
Prima di tutto dobbiamo menzionare il suo discepolo e biografo padre Francisco Palou, cronista dell’epoca californiana. Dai suoi scritti si ha l’impressione che gli Atti degli Apostoli non si siano affatto conclusi con la narrazione di San Luca ma continuino lungo la storia con la successione di apostoli suscitati nella Chiesa dallo Spirito Santo ed inviati a predicare il Vangelo ad ogni creatura. Padre Palou fu il primo a ricevere la confidenza di Junípero riguardo la sua decisione di partire per le missioni nel Nuovo Mondo. Imbarcatosi insieme a lui, ne condivise tutte le fatiche fino a coglierne l’ultimo sospiro a Carmel.
Per i campi apostolici non c’è miglior acqua che il sangue dei martiri. I campi della California sono irrigati col sangue maiorchino. Il primo a pagare il prezzo della vita fu Padre Luis Jaume. Il 5 novembre 1775, in una notte di luna, seicento indios assaltarono la missione di San Diego, provocando ingenti danni, distruggendo le immagini e appiccando fuoco alle case. Padre Jaume, col crocifisso alla mano, tentò di calmarli con questa esortazione: Figli miei, amate Dio! Invano. Gli indios lo legarono e lo massacrarono con frecce e colpi di mazza, facendo poi scempio del suo corpo. Egli fu il protomartire di quelle terre vergini e il suo sangue incoraggiò fra Junípero. Ecco il suo commento quando gli fu comunicata l’infausta notizia. “Quella terra è ormai irrigata! Adesso possiamo sperare che gli indios di San Diego si convertano!”. Fra Junípero ordinò che gli fossero tributati massimi onori, e chiese ad ogni missionario di applicare in suffragio del padre Jaume le venti Messe prescritte dal rituale francescano.
6. Il programma di vita
La vita di fra Junípero era tutta dedicata ai suoi figli spirituali, sia neofiti che catecumeni, nonché ai missionari suoi confratelli, che egli manteneva costantemente occupati. Nella missione di San Carlos, per esempio, mentre un frate andava a lavorare i campi con gli uomini, un altro insegnava alle donne, un terzo ai bambini e un altro ancora badava all’orto. Si riunivano tre volte al giorno per pregare insieme, dedicando poi la sera all’istruzione dei catecumeni. In una lettera al Vice Re Bucarelli nel 1775, fra Junípero scriveva. “Il santo proposito col quale realizziamo tali lavori manuali, a prima vista estranei alla nostra condizione di vita, li rende certamente graditi a Dio, agli angeli e agli uomini”.
Ogni aspetto della vita delle missioni era oggetto della sua attenzione: gli indios, i soldati, i coloni, le raccolte, l’edilizia, il bestiame, le provviste e via dicendo. Senza tralasciare poi i rapporti col Governatore militare, il Vice Re e il Collegio di San Fernando, casa madre delle missioni. Tutta questa attività esigeva molto tempo, anche per poter scrivere lettere e rapporti. Nominato Presidente delle missioni, fra Junípero trascorreva ormai quasi la metà del tempo a scrivere. L’apostolica “sollecitudine per le chiese” comportava anche il frequente uso di carta e penna… Più d’una volta egli si lamentò in confidenza che era ormai diventato uno scrivano, anziché un missionario. Quante volte egli dovette scrivere in condizioni di disagio, seduto a terra senza neanche un tavolo o una sedia, utilizzando una semplice penna di gabbiano, lottando contro il tempo perché il postale era sul punto di salpare! Questo tipo di sforzo, raramente preso in considerazione dalla storia ufficiale, non va sottovalutato.
7. Vestire gli ignudi indios
La nudità degli indios era un problema assai grave nelle missioni californiane. Fra Junípero così esponeva il problema al Vice Re: “Coprire la nudità di tante bambine e bambini, uomini e donne, anche se solo in parte, non solo per proteggerli dal freddo, che da queste parti è molto rigido durante buona parte dell’anno, ma soprattutto per fomentare la decenza e l’urbanità, specie fra le donne, è una difficoltà colossale con la quale devo fare quotidianamente i conti”.
Nella stessa lettera il missionario spiegava al Vice Re che finora era riuscito a vestire gli indios consumando lo stipendio dei frati, raccogliendo qua e là vecchi vestiti e riciclando un centinaio di coperte militari. Ma, nel momento di scrivere, non avevano più niente: “In chiesa, in mancanza di altri vestiti, i nativi stanno riprendendo a usare le rozze pelli che avevano abbandonato al tempo del loro battesimo. Non abbiamo nemmeno un gregge di pecore per ricavarne la lana. (…) Forse questi lamenti raggiungeranno qualche riunione di gente ricca e devota in contatto con Sua Eccellenza. Mi auguro che possano aprire l’anima per quest’opera di misericordia di vestire l’ignudo, tanto importante quanto dare da mangiare all’affamato. Per l’amore di Dio, mi perdoni Sua Eccellenza se ho osato disturbarLa”.
La lettera ebbe l’effetto desiderato e da Città del Messico arrivarono alle missioni molte elemosine, sia in denaro che in natura.
8. Colloqui nell’aurora dei nuovi tempi
Non tutto, però, era sofferenza nelle missioni di fra Junípero. C’erano anche tante consolazioni. Nel 1773, per esempio, egli fece un viaggio alla capitale accompagnato dall’indio Juan Evangelista, che egli stesso aveva battezzato e cresimato. Fu un’ottima occasione per conversare a lungo col neofito, penetrando la sua anima e comprendendo come essa si potesse aprire non solo alla Fede cattolica, ma anche alla civiltà europea. Per la prima volta con questa profondità, fra Junípero riuscì infatti ad analizzare i rapporti fra il mondo degli spagnoli e quello degli indios.
Fra Junípero domandò a Juan Evangelista se, vedendo i frati e i soldati spagnoli, i nativi fossero giunti alla conclusione che vi fosse una terra lontana dove tutti erano così. Egli rispose di no. I nativi, disse, pensavano che tutti gli uomini fossero come loro. Vedendo quella gente strana, avevano quindi immaginato che fossero sgorgati dal grembo della terra.
Arrivando in Città del Messico, così opulenta da meritare il titolo di “Roma dell’America”, Juan Evangelista rimase allibito, contemplando meravigliato i palazzi, le carrozze, le chiese, le dame vestite in maniera elegante. La credenza che gli spagnoli fossero figli di mule o rigurgiti degli abissi col tempo andò svanendo ed egli riconobbe che c’era un altro mondo molto più bello. Disse che, ritornando alla sua terra, avrebbe cercato di convincere la sua gente a convertirsi.
9. Ritratto di Serra
L’allora sessantenne fra Junípero rimase al Collegio di San Fernando in Messico per ben sei mesi. Fu allora che un giovane frate scrisse a un compagno in Catalogna una lettera con quello che ritengo sia il ritratto più autentico del missionario maiorchino:
“Egli è il Padre Presidente [delle missioni], uomo di veneranda anzianità, già cattedratico all’Università di Palma. In ventiquattro anni di missioni, non ha mai risparmiato nessuno sforzo per la conversione degli infedeli. Nella travagliata vecchiaia conserva la forza del leone, arrendendosi soltanto alla febbre alta. Né gli acciacchi, specialmente quelli del petto che lo soffocano, né le piaghe nei piedi e nelle gambe riescono a trattenerne l’impeto apostolico.
“Durante la sua permanenza in mezzo a noi egli ci ha stupito. Trovandosi gravemente ammalato, non ha mai trascurato di venire al coro, sia di giorno che di notte, tranne quando aveva la febbre troppo alta. Più volte lo abbiamo dato per morto, e più volte è risuscitato. Se qualvolta si è recato in infermeria, è stato solo per obbedienza. Più volte nei suoi viaggi fra gli infedeli, egli si è trovato così male, sia per le piaghe che per altre infermità, che ha dovuto essere trasportato in lettiga, non volendo fermarsi per curare il corpo mezzo morto. Ma, con grande stupore di tutti, si è sempre ripreso ad opera della divina Provvidenza. Veramente, per queste cose, per l’austerità di vita, umiltà, carità e altre virtù, egli merita di essere annoverato fra gli imitatori degli Apostoli.
“Fra poco farà ritorno a Monterey, mille miglia di strada per terra e mare, come se niente fosse. Andrà a visitare le missioni, rallegrandole con la sua presenza e fondandone altre fino alla morte. Che Dio gli conceda molti anni di vita! Potrei dire tante cose di questo sant’uomo. Diverse volte è stato eletto Guardiano, ma non è mai stato confermato, sia che si trovasse lontano, sia che i superiori non ritenessero di poter privare le missioni di uomo tanto singolare”.
10. Un Rosario di missioni
Lo scopo di Serra era di erigere quante missioni fossero necessarie al fine primario di convertire gli indios, secondo quanto si rivela dalla sua fitta corrispondenza. Tra la baia d Carmel e il porto di San Diego, egli fondò ben cinque missioni lungo il Camino Real. Seguirono, in ordine cronologico, le missioni di San Francisco, San Juan Capistrano e Santa Clara. Più a sud c’erano le missioni di San Antonio, San Luis Obispo e San Gabriel. Possiamo quindi parlare di una vera e propria catena di missioni, distanti una dall’altra non più di quarantacinque miglia.
La parola “catena”, però, è troppo fredda, adeguata forse a macchine e autostrade ma non certo alle missioni. Forse è meglio parlare di un “Rosario”, dove i grani sarebbero le missioni e la catenina la strada che le collegava. Fra Junípero stesso parlava delle sue fondazioni come una “scala”, che egli saliva e scendeva lungo la costa settentrionale del Pacifico.
Egli voleva fondare undici missioni, forse per emulare gli undici conventi francescani della Serafica Provincia di Maiorca.
11. Morte del beato
Come S. Francesco, Junípero aveva mortificato troppo il suo corpo. Arrivato ai settant’anni, era ormai sfinito. Nel 1784 si ritrovò privo di forze e col respiro affannoso. Al dolore alla gamba non ci faceva nemmeno più caso, era da troppo tempo ormai che lo tormentava. A metà agosto, il dottore lo visitò e gli propose un cauterio per liberare i polmoni. Purtroppo non servì a niente. Il servo di Dio capì allora che era giunto il momento di rimettersi nelle mani del Padre.
Il ventisette le sue forze cominciarono a venir meno. Disse subito a padre Palou, suo confessore, che desiderava recarsi in cappella per ricevere la Comunione e quindi prepararsi al trapasso. Andò coraggiosamente a piedi, accompagnato da una processione di frati, ufficiali reali, soldati e indios. Inginocchiatosi, cantò con voce forte il Tantum ergo per l’ultima volta. Con le lacrime agli occhi, ricevette l’assoluzione e poi la Santa Comunione. Rientrato nella cella, sentì mancargli le forze e chiese l’estrema unzione, recitando in seguito le litanie dei santi e i salmi penitenziali.
Il giorno dopo, 28 agosto e festa di S. Agostino, ebbe un leggero miglioramento. Seduto su un’austera sedia di bambù, ormai sentiva la morte come una compagna. Chiese al suo confessore di essere seppellito vicino al compianto confratello fra Juan Crespi. Riuscì ancora a pregare il Breviario e a prendere una tazza di brodo. Adagiandosi sul giaciglio di legno grezzo, si addormentò per non risvegliarsi più. Fu trovato dal suo discepolo e biografo padre Palou abbracciato al suo crocifisso di 40 cm, che lo aveva sempre accompagnato in tutte le fatiche apostoliche. Consci di avere perso un padre benigno, gli indios gli offrirono meravigliosi fiori selvatici e alcuni, mentre tutti piangevano, pensarono bene di ritagliarsi pezzi dell’abito per conservarli come preziose e venerate reliquie.
12. Junípero Serra, difensore degli indios e apostolo della California
Con la visita di Giovanni Paolo II alla missione di Carmel il 17 settembre 1987, sono stati riconosciuti i meriti e la santità del fondatore delle missioni californiane. Le parole del Papa davanti al sepolcro dell’allora venerabile fra Junípero risuonano tutt’oggi nel cuore di ogni cattolico. Eccone alcuni brani:
“Vengo oggi quale pellegrino a questa missione di San Carlo che evoca così fortemente lo spirito e le gesta eroiche di Fra Junípero Serra e che custodisce i suoi resti mortali. Questo luogo bello e sereno è veramente il cuore storico e spirituale della California. Tutte le missioni di ‘El Camino Real’ rendono testimonianza alle lotte e all’eroismo di un’epoca passata, ma non dimenticata e senza significato per la California e la Chiesa di oggi.
“Questi edifici e gli uomini che li animarono, specialmente il loro padre spirituale, Junípero Serra, sono il ricordo di un’età di scoperte ed esplorazioni. Le missioni sono il risultato di una consapevole decisione morale presa da uomini di fede in una situazione che presentava molte possibilità umane sia buone che cattive, nei confronti del futuro di questa terra e delle popolazioni indigene. Fu una decisione che aveva le sue radici nell’amore di Dio e del prossimo. Fu una decisione di proclamare il Vangelo di Gesù Cristo all’alba di una nuova era, cosa estremamente importante sia per i colonizzatori europei sia per gli indigeni americani.
“Molto spesso, nei momenti cruciali delle vicende umane, Dio chiama uomini e donne cui affida ruoli di importanza decisiva per il futuro sviluppo della società e della Chiesa. Sebbene la loro storia si svolga nell’ambito dell’ordinarietà della vita quotidiana, essi trascendono la loro vita in seno alla prospettiva storica. A maggior ragione ci rallegriamo quando le loro conquiste sono accompagnate da una santità di vita che può dirsi veramente eroica. È questo il caso di Junípero Serra che la Provvidenza divina chiamò ad essere apostolo della California e ad avere un’influenza permanente sul patrimonio spirituale di questa terra e del suo popolo qualunque sia la sua religione. Tale consapevolezza apostolica viene colta nelle parole a lui attribuite: ‘la California è la mia vita e là, a Dio piacendo, spero di morire’. Per mezzo del mistero pasquale di Cristo, quella morte è divenuta un seme nella terra di questo Stato che continua a dare frutto, ‘dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta’.
“Padre Serra era un uomo convinto della missione della Chiesa, a lei conferita da Cristo stesso, di evangelizzare il mondo ‘di ammaestrare tutte le nazioni, battezzandole in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’. Il modo in cui egli ha adempiuto a quella missione corrisponde fedelmente all’odierna visione che la Chiesa ha sul significato dell’evangelizzazione ‘. . . la Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri’.
“Egli non soltanto portò il Vangelo agli indigeni americani, ma quale persona che viveva il Vangelo divenne anche il loro difensore e il loro campione. All’età di sessanta anni viaggiò da Carmel a Mexico City per intercedere a loro favore presso il viceré – un viaggio che lo portò per due volte vicino alla morte – e presentò la sua “Representación”, oggi famosa, con la sua ‘dichiarazione dei diritti’, che mirava al miglioramento di tutta l’attività missionaria in California, particolarmente al benessere fisico e spirituale dei nativi americani”.
13. La beatificazione
Nella solenne Messa del 25 settembre 1988, S.E. Mons. Thaddeus Shubsda, vescovo di Monterey-Fresno, chiedeva ufficialmente al Papa la beatificazione di fra Junípero, presentando un resoconto della sua vita corredato da abbondante documentazione, nella quale spiccava la già menzionata Representación, nota anche come Dichiarazione dei diritti degli Indigeni.
La testimonianza di suor Bonifacia Dyrda, di Saint Louis, Missouri, guarita da una malattia per intercessione del Venerabile e presente alla Messa, suscitava grande entusiasmo fra i fedeli.
Un anno dopo, Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato. In California la sua festa si celebra il primo luglio, in ricordo del suo arrivo a San Diego. In Maiorca, invece, si celebra il 26 agosto.
* Conferenza tenuta dal dott. Bartomeu Font Obrador a Genova il 5 giugno 2004, nel Convegno Internazionale Serrano. Riprodotto con autorizzazione. Cfr. «Atti del Convegno “Il Beato Junípero Serra e l’Evangelizzazione delle Americhe”», Genova, Serra International, 2005. Il dott. Font Obrador (1932-2005) era Presidente dell’Associazione amici di fra Junípero Serra, di Palma di Maiorca.
https://www.corrispondenzaromana.it/...ettentrionale/
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