La poesia di san Giovanni della Croce per possedere Dio
Antonio Tarallo
La poesia per san Giovanni della Croce era una ricerca per poter ricongiungersi con l’Amato: sì, perché lo Sposo va cercato, Dio va cercato. Non è solo un uscire di casa, è qualcosa di più profondo: la soglia del proprio animo. Per cercare di contemplare il Tutto è doveroso uscire da sé stessi e insieme entrare nello scandaglio del proprio io: «Per giungere a possedere tutto, non volere possedere niente», si legge nella "Salita al Monte Carmelo".
La poesia nasce nel cuore, nell’anima: nel tempio di Dio, nasce la poesia. Versi, immagini, metafore, si ergono verso il Cielo - un po’ come guglie di cattedrali - e lo lambiscono, lo toccano. La poesia è, dunque, uno strumento divino.
ll filosofo francese Maritain scriveva in una lettera (del 1923)all’ateo Jean Cocteau: «Nell’ordine naturale esiste un’ispirazione speciale al di sopra della deliberazione della ragione e che, come notava Aristotele, procede da Dio presente in noi: è l’ispirazione del poeta, e per questo egli è un uomo divino. Come il santo? No. Come l’eroe. (...) Le parole, i ritmi non sono per lui che la materia con la quale crea un oggetto per la gioia dello spirito e in cui brilla qualche riflesso della grande notte stellata dell’essere». E di notti - buie o stellate che siano - se ne intendeva molto san Giovanni della Croce, santo, eroe, poeta.
La poesia, musica per elevarsi, musica per cercare di raggiungere Dio, o meglio - per lo stesso san Giovanni della Croce - una ricerca (continua, ovviamente) per poter ricongiungersi con l’Amato, lo Sposo. Ritornano in mente, così, i versi del “Cantico dei Cantici”: la ricerca dell’unione degli sposi nel testo biblico dell’Antico Testamento si trasforma - nella poesia mistica di Juan de Yepes y Alvarez - nella perenne ricerca del proprio Amato con cui poter vivere l’Amore, un Amore immenso, esteso come il cielo di una notte, anche quando “buia”. San Giovanni della Croce è in ricerca delle stelle, con il suo testo “Notte oscura”, ossia i suoi “Canti dell’anima”. I due testi - quelli del “Cantico dei Cantici” e “Notte oscura” - sono alquanto paralleli, per stile e per tematiche. Basterebbe l’incipit del testo del poeta spagnolo per farcelo comprendere: «In una notte oscura/ anelante e d’amori infiammata/ - oh felice ventura!-/ uscii senz’essere vista/ la casa mia essendosi acquietata». La ricerca è il punto fondamentale: e anche nel Cantico dei Cantici troviamo lo stesso pensiero: lo Sposo va cercato, Dio va cercato. E un rincorrerlo, essendo “anelante” l’anima.
Ma come è possibile incastonare Dio nelle parole? Sublime dilemma, contraddizione assoluta, se ci pensiamo. Lo dice bene Arduini - parlando del linguaggio poetico di Giovanni della Croce - nella sua introduzione al “Cantico spirituale” (Città Nuova, 2008): «Il linguaggio mistico vive la grande contraddizione dovuta al suo oggetto che è in sé non dicibile». Lo strumento della poesia tout court è già di per sé contraddittorio. Il santo, poeta e mistico (o poeta-mistico), vive tutto questo. Ci aiuta a comprendere - grazie ai suoi versi - che bisogna uscire da sé stessi, per cercare il proprio animo, e - dunque - Dio. È necessario varcare una sorta di soglia: lo dice bene nell’incipit della “Notte”, come abbiamo visto prima, «uscii senz’essere vista». Non è solo un uscire di casa, è qualcosa di più profondo: la soglia del proprio animo. Per cercare di contemplare il Tutto, è doveroso uscire da sé stessi e, allo stesso tempo, entrare sempre più nello scandaglio del proprio io. È il perenne, sublime, ossimoro della Poesia, e dell’Arte in generale, e se vogliamo – visto che stiamo parlando di un Santo, ricordiamolo – del cammino spirituale. «Per giungere dove sei, devi passare per dove non sei. Per giungere a possedere tutto, non volere possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non volere che essere niente». Questi versi li troviamo nella “Salita al Monte Carmelo”, al capitolo primo.
La forza poetica dell’autore spagnolo riesce a scardinare ogni collocazione di tempo e spazio - la poesia lo esige - perché nei suoi versi, sempre attuali, ci si può ritrovare con facilità. Anche l’uomo contemporaneo, così - forse - privo di aspirazioni (e ispirazioni) eterne, grazie ai versi di san Giovanni della Croce riesce a entrare nel mistero divino, entrando in contatto con sé stesso. Questa è la caratteristica precipua e universale della Poesia.
I versi delle sue opere entrano profondamente nel lettore di ieri, come in quello di oggi. I vari Saba, Ungaretti, Montale (che mistici non sono, almeno per il senso “canonico” con cui si definisce un poeta “mistico”) vivono ancora oggi perché l’uomo di ogni tempo può ritrovarsi nei loro componimenti. E, in san Giovanni della Croce, tutto questo avviene con versi che sono frammenti di Eterno, stelle nella notte più buia. Baudelaire scriveva: «È per mezzo e attraverso la poesia, per mezzo e attraverso la musica, che l’anima intravede gli splendori che ci sono al di là della tomba». Una prova per credere? Basterebbe leggere un solo verso di Giovanni della Croce.
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