La “Chiesa dei poveri”

Una “novità” molto vecchia

La recente elezione di papa Francesco I (13 marzo 2013) ha fatto risorgere il tema della “Chiesa dei poveri”, che andava molto di moda negli anni Sessanta/Settanta ed era stato portato avanti dagli ‘ultra progressisti’ del neomodernismo[1] soprattutto dall’arcivescovo latino-americano Helder Camara, dal cardinale belga Leo Suenens[2], dal cardinale di Bologna Giacomo Lercaro e dalla “Scuola di Bologna” (Dossetti, Alberigo, Bettazzi), ma che poi era passato in secondo ordine, almeno in Italia.
Questa idea è molto più vecchia di quanto non si pensi. Basti pensare al Pauperismo dei “Fraticelli” del XIII secolo con la loro teoria delle due Chiese: una corrotta, ricca, carnale con a capo il Papa; l’altra, la vera Chiesa, spirituale, povera e dei soli poveri, pura e santa anche in tutte le membra umane che la compongono, ossia gli Spirituali e i loro seguaci. Essi vennero condannati da papa Giovanni XXII nel 1316 (v. Costituzione Gloriosam Ecclesiam, DB 484-490). Nel campo sociale i Fraticelli, criticando il lusso e le ricchezze della Chiesa ufficiale, hanno contribuito a toccare il diritto di proprietà.
Verso la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, vari pensatori progressisti[3] del modernismo classico[4] (vedi Ernesto Buonaiuti) hanno cercato di presentare – “da sinistra” – una Chiesa “cristiana” primitiva dei soli poveri, collegiale o democratica, sovversiva, anarchica, ostile all’Impero di Roma e a qualsiasi potere politico, la quale sarebbe stata snaturata dalla Chiesa romana, ricca, petrina, papale e costantiniana, essenzialmente gerarchica, anzi monarchica. Questo snaturamento del cristianesimo primitivo sarebbe stato il frutto della filosofia greca e del diritto romano.
La stessa teoria è stata formulata – “da destra” – anche da neopagani (vedi Julius Evola) o da uomini d’ordine, i quali, però, hanno visto in questo snaturamento un fatto positivo (Charles Maurras) in quanto avrebbe consentito alla Patria, Nazione, Regno, Impero e al Principe rinascimentale di Nicolò Machiavelli (†1527) di servirsi della Chiesa romana come collante o cemento per mantenere l’ordine e l’ obbedienza delle masse.

Nella storia chi per primo ha cercato di dipingere Gesù come un rivoluzionario è stato il Sinedrio, ma Ponzio Pilato dopo aver interrogato Gesù non diede retta a questa calunnia (Gv., XIX, 11; Lc., XIII, 1; Rom., XIII, 1). Successivamente il giudaismo talmudico presentò anche i cristiani come sovversivi e rivoltosi per farli condannare da Roma e Roma con Nerone, sotto l’ influsso nefasto della sua seconda moglie Poppea, la quale era una giudaizzante, iniziò nel 64 la persecuzione dei cristiani[5].
Furono, invece, proprie dell’ eresia montanista (II secolo), condannata dalla Chiesa con papa Zefirino, quelle caratteristiche sovversive ed antiromane che erano già state degli zeloti e del giudaismo più intransigente e che avevano costretto Roma a sedare la rivolta col ferro e col fuoco (70 d. C. e 135). Perciò l’ Imperatore Marco Aurelio nel 170 circa scatenò una persecuzione che aveva di mira il Montanismo, ma che toccò praticamente anche il cattolicesimo romano[6].


La contraffazione della vera religione

Gli uomini di Chiesa dopo la svolta del Vaticano II hanno mutuato dalla “nuova teologia” neo-modernistica alcune idee che riecheggiano la vecchia concezione a-dogmatica e a-gerarchica del “cristianesimo delle origini” e della “Chiesa dei poveri” sia dal punto di vista dottrinale che da quello spirituale: vedi i vari “Movimenti” tipo “Comunità di S. Egidio”, il “Cammino Neo-catecumenale”, il “Rinnovamento dello Spirito” e il neo “Pentecostalismo cattolico”, che si propongono di edificare una Chiesa spirituale o “giovannea” a-dogmatica, sentimentalistica, carismatica, liberale, latitudinarista, ecumenista, che purtroppo sembra oggi prevalere pro tempore su quella petrina o costantiniana. Questi “movimenti” sono caratterizzati non sempre dal pauperismo, ma tutti da uno spirito comunitario che tende al collegialismo collettivistico, senza istituzioni o gerarchia e dominato dal “profetismo” o carisma di alcuni leader[7].
La testa di ariete di cui si è servito il modernismo per deformare la Fede dei cristiani è stato il Novus Ordo Missae, il quale ha fatto vivere la dottrina del Vaticano II dai fedeli, che altrimenti non sarebbero stati toccati, se non in piccola parte, dai Decreti conciliari. «In Liturgia – scriveva il card. F. Antonelli – ogni parola, ogni gesto traduce un’idea che è un’idea teologica. Dato che attualmente la teologia è in discussione, le teorie correnti tra i teologi avanzati cascano sulla formula e sul rito con questa conseguenza gravissima che, mentre la discussione teologica resta al livello alto degli uomini di cultura, discesa nella formula e nel rito, prende l’avvio per la sua divulgazione nel popolo» (N. Giampietro, Il card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948 al 1970, p. 125 s.)

Come il Sessantotto ha cambiato la mentalità dell’uomo contemporaneo non tramite i libri, ma mediante la prassi, l’azione, la musica, la moda, la stampa rosa, così il neo-modernismo ha cambiato il cristiano contemporaneo tramite la Nuova Messa, il sentimentalismo che emana da essa, i nuovi ornamenti liturgici, le musichette sincopate, la nuova architettura delle chiese e la secolarizzazione dell’abito ecclesiastico, il rito faccia a faccia, il quale è più simile ad una “cena” che al Sacrificio della Croce. “Vale più la pratica [la Nuova Messa] che la grammatica [i Decreti conciliari]” recita il proverbio popolare. Marx avrebbe parlato del “primato della prassi sulla teoresi”.
La svalutazione dell’intelletto e della volontà dal punto di vista naturale è accompagnata nell’ordine soprannaturale dal ridimensionamento delle Virtù infuse di Fede e Carità soprannaturale per dare il primato all’esperienza religiosa o al sentimento e alla filantropia pauperistica, giungendo ad un falso misticismo già condannato dalla Chiesa sotto il nome di “Quietismo” nel XVIII secolo, il quale pretende che non si debbano esercitare le Virtù né la vita ascetica, ma occorra solo seguire l’impulso dello Spirito senza lottare contro il peccato o le cattive inclinazioni. Si cade così in uno stato di esaltazione religiosa o superstiziosa, che è la contraffazione della vera Religione. L’irrazionalismo, il sentimentalismo, l’emozionalismo, l’ anti-intellettualismo, la svalutazione della libera volontà sono il comune denominatore di questi movimenti pseudo-spirituali nati durante e dopo il Vaticano II.


“Sento; quindi credo”

Il sentimentalismo religioso (quello che oggi porta le masse a idolatrare papa Francesco I) è uno dei pericoli più gravi che minaccia il mondo cattolico e specialmente ecclesiale perché distrugge la Fede rendendola un atto puramente soggettivo e non più un atto soprannaturale di adesione dell’intelletto, mosso dalla volontà con l’aiuto della Grazia, alle verità o Dogmi oggettivi e reali.
Dal punto di vista naturale il sentimentalismo distrugge la ragione e rende l’uomo un animale istintivo ed emozionale e perciò abbassa la retta ragione ad un livello inferiore a quello raggiunto dalla metafisica classica greca, dal diritto e dalla morale naturale romana, riportando la civiltà europea, che ha le sue origini appunto nella metafisica classica, nel diritto romano e nella scolastica, al livello primitivo, selvaggio o tribale. Nel campo religioso favoleggia di una pretesa “Chiesa dei poveri”, quando in realtà tra i Discepoli di Gesù ve ne erano anche di ricchi come Giuseppe d’Arimatea, che gli cedette il suo sepolcro nuovo dove Gesù fu sepolto e dal quale risorse, e la Chiesa è stata sempre la Chiesa di tutti, dei ricchi come dei poveri, insegnando ai primi il buon uso della ricchezza e ai secondi ad accettare ed amare la povertà. È per questo che si può parlare di (tentata) tribalizzazione della Chiesa, esattamente come il Sessantotto con la Scuola di Francoforte (Adorno e Marcuse) e lo Strutturalismo francese (con Lévy-Strauss, Ricoeur, Lacan, Sartre) ha tribalizzato l’uomo contemporaneo rendendolo un selvaggio, un cavernicolo o “una bestia parlante”. Se Cartesio diceva: “Penso; quindi esisto”, oggi si pensa e si dice: “Sento, ho emozioni, esperienze; quindi esisto”, anzi: “quindi credo”.

Dal sentimentalismo immanentistico deriva il pan-ecumenismo, che è un’altra caratteristica, assieme al pauperismo, al filo-giudaismo ed al collegialismo da cui sembra affetto papa Bergoglio. Infatti l’essenziale è “sentire” soggettivamente qualcosa di vagamente e astrattamente “spirituale”, che non si identifica in nessuna dottrina di nessuna Chiesa o Religione positiva, ma emerge dal subconscio di ogni uomo, il quale sente il bisogno del “miracolistico”, come insegnano Kant (Critica della Ragion pura) e, sulla sua scia, il Modernismo filosofico (v. San Pio X, Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907). In tal modo tutte le credenze religiose sono ridotte ad un principio unico: la soggettività della verità e la relatività di tutte le sue forme e quindi anche del dogma.
In questa ottica non vi sono più eresie, eretici, vera Religione e false religioni, Chiesa di Dio e sette, ma solo “fratelli apparentemente separati, ma sostanzialmente uniti”. Questo tipo di super-ecumenismo ha avuto il suo apice – praticato e non più solo teorizzato – negli incontri “interreligiosi” di Assisi (27 ottobre 1986- 2011).


Il “primato dell’azione” ultimo stadio del modernismo

Il modernismo demolisce tutta la religione cattolica e non solo qualche suo dogma, onde S. Pio X lo qualifica non un’eresia, ma “il compendio di tutte le eresie”. Esso infatti sostituisce l’opinione o l’arbitrio soggettivo del singolo all’autorità del magistero ecclesiastico e della gerarchia. Onde dall’agnosticismo teologico si passa all’ateismo o addirittura al nichilismo religioso (vedi “la teologia della morte di Dio”), con la conseguente abolizione di ogni religione positiva e specialmente di quella unica vera che è e rimane la cattolico-romana.
La gravità del modernismo sta soprattutto nella sua tattica: esso cerca di trasformare la Chiesa dall’ interno e segretamente alterando pian piano la nozione stessa di religione, di Fede, di dogma e di verità oggettiva mediante l’ immanentismo o soggettivismo che è l’anima della filosofia moderna, la quale va da Cartesio (†1650) sino a Hegel (†1831) (vedi Padre Cornelio Fabro voce “Modernismo”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1952, vol. VIII, coll. 1188-1196).
P. Fabro fa notare che volutamente i modernisti hanno espresso raramente e in maniera sistematica i loro princìpi, per poter passare inosservati ed evitare condanne, in modo da trasformare la Chiesa dal suo interno. Essi preferiscono il metodo storicistico, che dà la preferenza allo studio della storia della Chiesa, dei dogmi e della Bibbia, al metodo teoretico (ivi, col. 1191), onde tra Rahner (teoretico) e Ratzinger (storicista) più intrinsecamente modernista è il secondo, anche se apparentemente più conservatore (“L’ estremismo malattia infantile del modernismo”, parafrasando Lenin). Ed ora il primato della prassi di papa Bergoglio è ancora più avanzato della teoresi di papa Ratzinger. Questo primato dell’azione porterà –temiamo – a un super-ecumenismo ancora più avanzato di quello di Benedetto XVI, poiché non avrà nessuna remora dottrinale (neanche neomodernistica), ma si accontenterà inizialmente di agire assieme (anche con i “tradizionalisti”), per poi portare chi “agisce assieme” a “pensare assieme” in maniera modernistica, senza che all’inizio sia stato richiesto un assenso dottrinale alla “nuova teologia”.

Tale è il frutto della soggettivizzazione della Fede che ha trasformato la religione cristiana in una vaga religiosità immanentistica, antropocentrica e antropolatrica, che riduce ogni realtà ad istinto soggettivo, sulle orme della pseudo-riforma luterana.
Il Programma dei modernisti, risposta all’enciclica Pascendi, (2a ed., Torino, 1911, p. 127) asserisce di non rifiutare né la S. Scrittura né la Tradizione, ma solo l’ interpretazione o ‘ermeneutica scolastica e soprattutto tomistica di esse, poiché sorpassata dal soggettivismo della filosofia moderna. Onde, quando oggi si asserisce la “ermeneutica della continuità”, si è in sintonia col Programma dei modernisti e vale anche per questa “continuità”, asserita ma non dimostrata, il commento di p. Fabro[8] (ivi, col. 1195): «A nulla valgono le proteste di alcuni modernisti di accettare integralmente la dottrina cattolica, perché il modernismo ha nel ‘principio di immanenza vitale’ il veleno corrosivo non solo dell’essenza e delle verità di Fede, ma del valore oggettivo di qualsiasi verità assoluta di fatto e di ragione e ritorna al principio di Protagora che “l’uomo è misura di tutte le cose”».
Il modernismo, aderendo al soggettivismo, ha rigettato in blocco il sano realismo greco-cristiano, che ha per fondamento la distinzione dell’uomo dal mondo e da Dio e la distinzione dell’ordine naturale da quello soprannaturale, e con il sano realismo ha eliminato il valore logico ed ontologico dei princìpi primi per sé evidenti e con essi la sana logica ed ogni metafisica (C. Fabro, ivi, col. 1195). Tuttavia, col Fabro, dobbiamo concludere che «il modernismo, pur derivando per canali molteplici dal soggettivismo del pensiero moderno, non presenta alcuna consistenza teoretica perché non s’impegna [né vuole impegnarsi] a fondo con nessun sistema o filosofia determinata, così che si risolve in un fenomeno di ‘contaminazione teoretica’ e di superficiale concordismo» (ivi). L’importante è l’azione; questo è l’ultimo stadio dell’ immanentismo modernistico, che oggi sembra aver trovato in Francesco I il suo campione. Nel loro Programma i modernisti, pur riconoscendo di condividere la sfiducia di Kant nella ragione, affermavano che il loro atteggiamento era diverso perché spiegava ogni tipo di conoscenza, inclusa quella religiosa, in funzione dell’azione e quindi dell’esperienza soggettiva di ognuno nei vari campi; perciò nella sfera religiosa quel che conta è «l’influenza del divino che si compie nelle profondità più oscure della coscienza» e che – aggiungiamo noi con San Pio X – ogni credenza religiosa può vantare e nessuno può dimostrare falsa appunto perché soggettiva.

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Note

[1] Condannato da Pio XII, con l’Enciclica Humani generis, 1950.

[2] Lo Spirito Santo nostra speranza, Alba, Paoline, 1975.

[3] Alcide De Gasperi, il fondatore della Democrazia Cristiana, in un discorso del 1944 citato il 15 agosto del 1975 dall’allora Segretario della DC Benigno Zaccagnini, paragonò Cristo a Marx in nome della comune origine israelitica, dell’ispirazione internazionalistica, del messianismo e dello spirito di rivolta contro lo Stato (cfr. Il Borghese, 3 settembre 1975).

[4] Condannato da San Pio X Enciclica Pascendi, 1907.

[5] M. Sordi, Il Cristianesimo e Roma, Bologna, Cappelli, 1965, p. 171.

[6] U. Benigni, Storia sociale della Chiesa, Milano, Vallardi, 1906, vol. I, pp. 32-33.

[7] G. Ebeling, Teologia e Annuncio, Roma, Città Nuova, 1972; W. Smet, Pentecostalismo cattolico, Brescia, Queriniana, 1975; R. Laurentin, Il movimento carismatico nella Chiesa cattolica, Brescia, Queriniana, 1976; F. Spadafora, Pentecostali & Testimoni di Geova, Rovigo, IPAG, V ed., 1980; E. Zoffoli, Verità sul Cammino Neocatecumenale, Udine, Il Segno, 1996; A. Castro Mayer, Carta pastoral sobre Cursillos de Cristiandad, San Paolo del Brasile, Vera Cruz, 1972.

[8] B. Gherardini, Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Editrice Mariana, 2009. Fonte: Articolo estratto da "SI SI NO NO" - Anno XXXIX N°6



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