José, il piccolo martire dei cristeros oggi è beato
di Marco Respinti






In programmazione nelle principali città, finalmente Cristiada di Dean Wright è entrato dalla porta principale anche in Italia. Critici e “puristi” hanno già rilevato che la pellicola si concede qualche licenza e qualche schematismo. Innegabile. Però il suo dovere lo fa egregiamente. Già l’averla pensata e girata è infatti un titolo di grande merito. Prima che esistesse, la realtà che racconta era appannaggio solo di un pugno di cultori. Oggi invece il film – forte di un gran cast e di una bella fotografia ? consente al messaggio forte di una vicenda che merita di essere riscoperta di raggiungere con facilità anche le “grandi masse”. E del resto per approfondire c’è Cristiada. L’epopea dei Cristeros in Messico (Lindau, Torino 2013) di Mario Arturo Iannaccone, lo studio più completo oggi disponibile in italiano.
Una cosa, però, che forse molti degli spettatori non sanno è che uno dei protagonisti, il piccolo José (interpretato dal messicano Maurico Kuri, classe 1997 (clicca qui) non solo è esistito davvero (come altri nel film), ma è anche un beato della Chiesa Cattolica. José Luis Sánchez del Río era nato il 28 marzo 1913 a Villa de Sahuayo, nello Stato federato di Michoacán, e poi era andato a scuola a Guadalajara, nello Stato di Jalisco, due, cioè, delle zone più calde della ribellione. Tant’è che, allo scoppio della guerra, nel 1926, i suoi due fratelli maggiori, Macario e Miguel, si vollero unire subito ai cristeros. José voleva fare lo stesso, ma aveva solo 13 anni e gli fu impedito. Scalpitò, dunque; smaniò. E così, dai che ti dai, l’anno dopo riuscì a strappare al generale Ruben Guízar Morfin l’incarico di portastendardo. E di clarinettista... Mentre i più grandi difendevano l’onore della fede cattolica a prezzo della vita, a lui ne erano affidati i colori pubblici e il ritmo delle marce. Un compito unico, da vero “grande” nonostante la sua giovanissima età; un ruolo indispensabile.
I cristeros lo chiamavano “Tarcisius”, come il martire romano del secolo III che a 12 anni diede la vita per Cristo e che la Chiesa onora il 15 di agosto come patrono dei chierichetti. La sua storia è tutta contenuta in una breve epigrafe del grande Papa Damaso I (305?-384), santo pure lui, ma basta e avanza. Il piccolo Tarcisio portava un dì l’Eucarestia a dei cristiani imprigionati in ossequio delle persecuzioni scatenate dall’imperatore Lucio Domizio Aureliano (214-275). D’un tratto fu aggredito, forse da suoi coetanei. Il suo primo pensiero andò a Gesù sacramentato, e d’istinto si strinse l’ostia consacrata al petto. Gli aggressori, inviperiti dalla scoperta che Tarcisio era un infame cristiano, lo picchiarono selvaggiamente, cercando di strappargli l’ostia di mano. Ma niente; riprovarono e nulla ancora. Alla fine lo abbandonarono al legionario Quadrato, anch’egli cristiano, intervenuto in sua difesa. Ebbe solo il tempo di spirare. Qualcosa di sublime lega Tarcisio e José; tutti sapevano del resto che da quando aveva 10 anni José s’impegnava a portare in chiesa i ragazzi per le adorazioni eucaristiche.
Fu così che un giorno al piccolo messicano accadde di dover cedere il proprio cavallo al grande generale Guízar Morfin, disarcionato dai nemici; «la vostra vita è più utile della mia», gli disse. Era il 5 febbraio 1928, un giorno difficile per i cristeros. José permise la ritirata del generale, coprendone il ripiegamento a fucilate. Ma finì le munizioni e cadde prigioniero dei federali con diversi altri compagni. Deportato nella città che gli aveva dato i natali, il 7 febbraio fu rinchiuso in una chiesetta profanata: adibita a prigione per i rebeldes, e a stalla. Per José sarebbe però stato facile uscirne: bastava che versasse 5mila pesos o che si arruolasse tra i governativi. Non ci pensò due volte. Rifiutò, e convinse i genitori a fare altrettanto. Alla mamma scrisse: «Muoio contento perché sto morendo al fianco di Nostro Signore.». Lo torturarono: più che altro perché, per sfamarsi, aveva tirato il collo a dei galli richiusi assieme a lui nella chiesa-prigione. Nonostante le pressioni José non cedette e rifiutò ora dopo ora di abiurare. E giù allora ancora con altre torture, finché il 10 febbraio, di fronte dell’ennesimo rifiuto, i federali decisero di farla finita. Con crudele raffinatezza, però: del resto era solo un bambino… Dopo avergli scorticato la pelle da sotto i piedi e averli ricoperti di sale, lo costrinsero a raggiungere il cimitero scalzo; e lì, davanti alla fossa che sarebbe diventata sua, fu accoltellato. Per non fare rumore.
Sarebbe bastato poco a José; sarebbe bastato che smettesse di gridare, di ripetere a gran voce «¡Viva Cristo Rey!», ma non lo fece. Andò invece avanti, ostinato. Fu allora che il comandante del plotone, per disprezzo, gli tirò una rivoltellata. José ebbe ancora la forza per tracciare una croce nella pozza del suo sangue che arrossava il terreno. In Cristiada si vede tutto piuttosto bene. Come san Tarcisio, José morì abbracciando Gesù con la grandezza della sua umana piccolezza. Morì dopo avere ricevuto la Comunione attraverso la zia Magdalena, non visto dai carcerieri. Aveva solo 14 anni (clicca qui). Aveva chiesto sulla tomba di Anacleto Gonzalez Flores (1888-1927), altro martire cristero, di poter affrontare al vita e la morte con il medesimo coraggio che era stato suo (clicca qui). Entrambi sono stati beatificati da Papa Benedetto XVI il 20 novembre 2005 (clicca qui). Con altri 11 martiri di quella mostruosa persecuzione laicista. Tante sono le biografie che negli anni sono state dedicate al piccolo, eroico soldato di Gesù; la più recente, bella, ricca, è Blessed José: Boy Cristero Martyr (Blessed José - Home), che Kevin McKenzie, Legionario di Cristo, ha pubblicato in giugno.





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