Il premier spagnolo Rajoy fa il pro-life in casa e l’abortista nel mondo
(di Mauro Faverzani) È passato circa un mese da quando il Partito Popolare spagnolo in Senato ha fatto passare una deludente mini-riforma della legge Aído sull’aborto: un’operazione dal sapore spiccatamente elettorale, per cercar di recuperare, senza riuscirvi, quel contatto con la gente perso, dopo aver tradito le promesse scritte nel programma prima delle urne.
All’epoca il leader Rajoy si impegnò a cancellare la normativa voluta dal suo predecessore Zapatero, che prevedeva un «diritto» all’aborto «su richiesta» sino alla quattordicesima settimana. Poi però non se ne fece niente, vinte le elezioni Rajoy ripose il progetto di legge pro-life nel cassetto, spingendo alle dimissioni il suo autore, l’allora ministro di Giustizia Alberto Ruiz Gallardón, sentitosi preso in giro. Questo tradimento della sua base elettorale, al premier, non fu mai perdonato.
Ora la mini-riforma non ha ancora neppure completato il proprio iter parlamentare, che già si profila un nuovo dietrofront: Rajoy, dalla sua poltrona strategica nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, si trova nell’imbarazzante situazione di dover fare il pro-life in casa propria ed, allo stesso tempo, di dover estendere ovunque nel mondo aborto ed anti-natalismo. Potrebbe opporsi, certo. Ma non lo farà. Ecco perché.
Lui, quel posto di membro non permanente per il biennio 2015-2016 se l’è conquistato sgomitando, un anno fa, per sedere a fianco di Angola, Malesia, Nuova Zelanda e Venezuela. A differenza di questi, però, non l’ha conquistato alla prima, bensì alla terza votazione, dopo un combattuto testa a testa con la Turchia di Erdogan. Ed, una volta spuntata la vittoria, non ha esitato a far conoscere la propria soddisfazione, definendo tale risultato il frutto della fiducia riposta dalla comunità internazionale nella Spagna. Fiducia, che ora, lui, non può o non vuole evidentemente tradire. Anzi, pare deciso a pagarne fino in fondo il prezzo.
Tant’è vero che Rajoy, oltre che primo ministro anche presidente del Partito Popolare iberico, ha annunciato di sostenere apertamente col suo governo l’agenda Onu 2030 con tutti i suoi Obiettivi per uno sviluppo sostenibile. Obiettivi, tra i quali figura specificamente il conseguimento entro i prossimi 15 anni dell’eguaglianza «di genere», nonché l’estensione della pratica abortiva e contraccettiva ovunque, in particolar modo nei Paesi cosiddetti “in via di sviluppo”, dove finora non ha attecchito. È ciò che maldestramente si cela nell’antilingua dietro termini melliflui come «salute sessuale» e «diritti riproduttivi», proponendosi d’introdurli già nelle scuole, per diffondere una mentalità contraria alla vita e contraria alla famiglia presso le giovani generazioni, cancellandone l’innocenza, la purezza e l’anima.
Il tentativo, dunque, di rifarsi una credibilità politica si conferma per quel ch’è parso sin dall’inizio ovvero una squallida operazione di facciata, peraltro mal riuscita. E nient’altro. Val la pena ricordare cosa preveda a pag. 108 il programma elettorale con cui il Partito Popolare vinse le elezioni del 2011: «La maternità dev’essere protetta e sostenuta. Promuoveremo una legge che la tuteli con adeguati mezzi, specie a favore delle donne in condizioni di difficoltà. Daremo impulso ad una rete d’appoggio. Cambieremo l’attuale legge sull’aborto, per rafforzare la tutela del diritto alla vita». Rileggere oggi queste parole ha l’amaro sapore, a dir poco, della beffa. Di fronte alla quale val la pena ricordare come «non dire falsa testimonianza» sia uno dei dieci Comandamenti… (Mauro Faverzani)
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