Un grande insegnamento della concezione cristiana della politica: si può essere Re solo se si riconosce di essere suddito del Re dei Cieli!




Che pensereste di un papà (ce ne sono molti!) che ordinasse ai suoi figli di andare a Messa… e poi lui non ci va? I figli, fin quando saranno piccoli forse obbediranno, ma poi? Poi faranno come gli parrà: non ci andranno più. L’educazione, quella vera, non è fatta solo di parole ma soprattutto di testimonianza. Se io voglio che gli altri facciano una determinata cosa, dovrò io per primo agire coerentemente. Questo principio dovrebbe fondare anche l’agire politico e il senso proprio dell’autorità.

La concezione medioevale dell’autorità politica verteva sulla convinzione che chi deteneva il potere doveva prima di tutto rispettare la legge e agire coerentemente con ciò che insegnava e rappresentava.
Non a caso nel pensiero politico medioevale si distingueva chiaramente il concetto di potestas da quello di auctoritas. Il primo è l’esercizio del potere, il secondo è l’autorità suprema. Ciò per evidenziare che il potere politico doveva sempre essere giudicato da un’autorità ad esso superiore; evitando, pertanto, qualsiasi deriva assolutista e ben che meno totalitaria.[1]

Questa concezione del potere politico come qualcosa che avrebbe dovuto riconoscere un giudizio superiore e soprattutto come esercizio obbligato a manifestare obbedienza ad una legge e ad un’autorità che lo trascendesse, era chiaramente rappresentato dal rito d’incoronazione dei Re. Quando a scuola ce ne parlavano, eravamo portati a deridere un simile rituale: roba da secoli bui, sciocchezze incivili e antidemocratiche. E invece nulla di tutto questo, anzi. L’incoronazione per diritto divino aveva un significato pedagogico chiaro e nobile: il re poteva far capire ai sudditi quanto fosse giusto ubbidirgli, dimostrando che anch’egli si faceva suddito di un altro Re. Insomma, era come se dicesse: mi dovete ubbidienza, perché anch’io mi rendo ubbidiente a Dio. E’ lo stesso principio per cui un papà può insegnare ai figli ad essere “figli”, se anche lui si fa “figlio” di Qualcun altro.[2] NeiProverbi è scritto: “E’ per me che i Re regnano e i principi comandano ciò che è giusto.”[3] Infatti, il Re veniva unto secondo il rito descritto nella Bibbia per la consacrazione del Re d’Israele.[4]

Il rituale iniziò in Spagna con i sovrani visigoti (cristiani) di Toledo che furono i primi a chiedere alla Chiesa di incominciare il loro regno con una speciale consacrazione. Si dette poi tanta importanza alla cosa che nei secoli immediatamente successivi iniziò a diffondersi il racconto delle origini miracolose dell’unzione regia. L’arcivescovo di Reims, Incmaro (845-882), raccontò che il suo predecessore, san Remigio, ricevette dal Cielo, portata da una colomba, la sacra ampolla contenente l’olio per l’unzione. Lo stesso Incmaro consacrò nell’868 Carlo il Calvo di Lotaringia e nell’877 Ludovico il Pio. Da allora i Re di Francia e di Inghilterra saranno unti ed incoronati.[5] “Nella cerimonia della consacrazione l’autorità sovrana di Dio si cristallizza, per così dire, nella regalità sovrana di Cristo, della quale la dignità regia è come una partecipazione. Mediante la sua incoronazione, il monarca diventa rappresentante di Cristo nello Stato. Era appunto l’idea di Giovanna d’Arco, quando diceva a Carlo VII:‘voi sarete il luogotenente del Re dei Cieli, che è il Re di Francia.”[6]

Altro elemento che sottolineava l’importanza di questo rituale ai fini della sacralità della regalità, ma anche della concezione della stessa come “servizio di Dio a favore dei fratelli”, stava nel fatto che i Re di Francia e d’Inghilterra, dopo esser stati consacrati, imponevano le mani sugli scrofolosi per guarirli. E sempre all’insegna di questa “ministerialità” del potere regale, va ricordato che l’Imperatore del Sacro Romano Impero, dopo esser stato unto, serviva la Messa come suddiacono.

[1] Poi avremo modo di vedere che c’è una significativa differenza traassolutismo e totalitarismo.

[2] “L’insieme delle persone riunite sotto l’autorità del barone, capo del feudo, si chiama ‘familia’, e vedremo che l’insieme delle famiglie francesi fu governata come una famiglia. Il territorio sul quale si esercitano queste diverse autorità, si tratti del capo di famiglia, del capo della mesnia, del barone feudale o del Re, si chiama uniformemente, nei documenti, ‘patria’, cioè dominio del ‘padre’.” (H.Delassus, L’esprit familiale dans la maison, dans la cité et dans l’Etat, cit. in P.Correa de Oliveira, Nobiltà ed élites tradizionali analoghe, Bregnano (Como) 1998, p.247)

[3] Proverbi 8, 15.

[4] Cfr.: Re 1, 5; I samuele 16, 13; Ezechiele 16, 8-14.

[5] Cfr. R.de Mattei, La sovranità necessaria, Roma 2001, p.25.

[6] A.Michel, Sacre des Rois, cit. in R.de Mattei, La sovranità necessaria, cit., pp.25-26.



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