d. CURZIO NITOGLIA7 luglio 2011●“L’eresia da individuale, col laicismo liberale, diventa sociale e politica” (M. Ayuso).
●“Dalla forma data alla Società, a seconda che sia in accordo o no con le Leggi divine, dipende il bene o il male delle anime. Dinanzi a questa considerazione e previsione, come potrebbe, essere lecito per la Chiesa […], rimanere spettatrice indifferente davanti ai pericoli a cui vanno incontro i suoi figli, tacere o fingere di non vedere situazioni che […], rendono difficile o praticamente impossibile una condotta di vita cristiana?” (Pio XII, Radiomessaggio “La solennità”, Pentecoste 1941).
Miguel Ayuso, professore di ‘Diritto costituzionale’ all’Università Comillas di Madrid, ‘Presidente dell’Unione Internazionale dei Giuristi Cattolici’, ha scritto nel 2008 un libro molto interessante sui rapporti tra Stato e Chiesa, tradotto in italiano dalle “Edizioni Scientifiche Italiane” di Napoli nel 2010, con il titolo La costituzione cristiana degli Stati[1]. Nel suo libro il celebre giurista prende in considerazione anche il tema della “libertà religiosa” così come è stato affrontato dal Decreto Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II e lo confronta con l’insegnamento del ‘Diritto Pubblico Ecclesiastico’, mettendo in luce le diversità tra la dottrina tradizionale e l’insegnamento pastorale del Vaticano II da un punto di vista scientificamente giuridico.Prologo
●Nell’Antichità Pagana non era neppure concepibile l’idea della separazione tra potere temporale e spirituale. La sfera politica e quella religiosa si identificavano. La religione era considerata una virtù sociale o politica, mentre l’empietà era, oltre che un peccato, anche un crimine politico assai grave, poiché l’unità della Città si basava sul principio della pietà verso la Divinità[2].Breve excursus dei rapporti tra Stato e Chiesa
●Il Cristianesimo ha sempre insegnato la dipendenza della Società civile da quella religiosa e a partire da Costantino ha orientato anche in pratica il bene comune temporale verso quello spirituale e soprannaturale. Questi due poteri sono distinti (a differenza che nel paganesimo), ma non separati (a differenza che nel laicismo)[3].
●A Partire Dalla Rivoluzione Francese si giunge alla neutralità o separazione tra Stato e Chiesa, che va dall’indifferenza alla persecuzione. È l’epoca della secolarizzazione o del laicismo, che hanno cercato di abbattere indirettamente la Fede cristiana attaccando direttamente la Cristianità o la costituzione cristiana degli Stati europei[4]. In quest’epoca si è cercato di distruggere l’ordine naturale e divino mediante la Rivoluzione o sovvertimento dei rapporti tra temporale e spirituale, natura e grazia, ragione e fede. In parte si è riusciti nell’intento scristianizzando la Società civile mediante le idee e le istituzioni politiche. L’eresia da individuale, col laicismo liberale, diventa sociale e politica[5]. La Rivoluzione è una dottrina sociale o politica, che vuole fondare la Società civile non su Dio, ma sull’Uomo. La Contro-Rivoluzione è la dottrina politica che fonda lo Stato su Dio e la sua Legge[6]. Ora “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Quindi se la Rivoluzione ha “eretizzato” socialmente, la Contro-Rivoluzione deve porre un rimedio non solo individuale ma sociale e politico all’eresia sociale che è il laicismo liberale. Se la Rivoluzione vuole annientare la Cristianità o lo Stato cristiano per poi distruggere la Fede stessa, la Contro-Rivoluzione (che non è una Rivoluzione di segno contrario, ma è il contrario per diametrum della Rivoluzione) vuole restaurare la civiltà cristiana, ossia la morale sociale cristiana come è stata insegnata dalla Tradizione apostolica e poi iscritta nelle costituzioni civili a partire da Costantino[7].
●Il Magistero della Chiesa viene citato da Ayuso per dimostrare quanto su esposto. Pio VI nell’Allocuzione al Concistoro del 9 marzo 1789 condanna le libertà moderne e nell’enciclica Adeo nota del 1791 condanna la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”. Gregorio XVI nell’enciclica Mirari vos del 1832 condanna il cattolicesimo liberale. Leone XIII nell’enciclica Diuturnum illud del 1881, nella Immortale Dei del 1885, nella Libertas del 1888 e infine nella Annum ingressi del 1902 espone la dottrina cattolica sui rapporti tra Stato e Chiesa e condanna ogni dottrina separazionista dei due poteri. San Pio X nell’enciclica Vehementer del 1906 e nella Notre charge apostolique del 1910 condanna la separazione tra potere temporale e spirituale e il modernismo politico o “Democrazia Cristiana”. Pio XI nella Quas primas del 1925 parla della Regalità sociale o politica di Cristo e condanna il laicismo. Infine Pio XII nell’enciclica Summi Pontificatus del 1939, nel Radiomessaggio Benignitas et humanitas del 1944 e nel Discorso ai Giuristi cattolici italiani del 1953 continua lo stesso insegnamento di unione e subordinazione tra i due poteri e di condanna della loro separazione[8].
●La Questione Sociale (ossia il rapporto tra operai e datori di lavoro) non è solamente economico-finanziaria, ma soprattutto morale e religiosa. Infatti, per Aristotele e S. Tommaso, l’economia è la virtù di prudenza applicata alla famiglia; (diversa dall’affaristica, crematistica o finanziaria, che è l’arte di arricchirsi) e la politica è la virtù di prudenza applicata alla Società civile. Per risolvere il conflitto, che è sorto nell’Ottocento tra operai e padroni - secondo il Magistero - non basta una risposta puramente finanziaria o di salario, ma occorre risalire più a monte e vedere la questione alla luce della Morale e della Fede. Il problema operaio - secondo Leone XIII nell’encicliche Rerum novarum del 1891, Permoti nos del 1895 e Graves de communi re del 1901 - si risolve soprattutto con la virtù di Carità e di Giustizia e poi con il giusto salario. Leone XIII nell’enciclica Rerum novarum spiega benissimo che la “brama di novità” o la “rerum novarum cupiditas”dal campo politico (liberalismo) ha tracimato in quello economico-finanziario (liberismo/socialismo). Quindi, per risolvere e confutare il problema liberista e social-comunista (primato dell’economia o affaristica, materialismo storico), bisogna prima rispondere all’errore liberale (primato della libertà come Fine assoluto e non come mezzo per cogliere il Fine). Il Papa mostra il legame che c’è tra Rivoluzione religioso-dogmatica e Rivoluzione morale, poiché la Morale è la Fede praticata e vissuta (“agere sequitur esse”), e poi tra Rivoluzione politica, che è l’eresia dogmatica e morale trasferita dal livello individuale al campo sociale, e Rivoluzione economico-finanziaria[9]. “Dopo l’eresia individuale viene la Rivoluzione sociale o politica e dopo la Rivoluzione è il turno del boia” (Donoso Cortès, Saggio sul Cattolicesimo, il Liberalismo e il Socialismo).Questione sociale, politica e morale cattolica
●Miguel Ayuso ha capito perfettamente il carattere di contestazione della modernità del Magistero ecclesiastico dell’Otto-Novecento. La Chiesa ha affrontato i temi di carattere politico (liberalismo), culturale (tomismo/modernismo), economico-finanziario (social-comunismo), offrendo una dottrina completa e organica sulla Regalità sociale oltre che individuale, temporale oltre che spirituale, di Cristo già su questa terra, oltre che in Paradiso.
●Se La Modernità è la Rivoluzione filosofica, dogmatica, morale, politica ed economica (modernismo, liberalismo, liberismo, socialismo), la dottrina cattolica tradizionale è la Contro-modernità o Contro-Rivoluzione. Purtroppo con il Concilio Vaticano II si è “dimenticato con disinvoltura questa Tradizione. […]. Oblio accompagnato molte volte da disprezzo”[10]. La causa di tale rottura con la Tradizione apostolica in materia di dottrina sociale Miguel Ayuso la trova nella “fase di conformismo [conciliare e postconciliare] rispetto alla modernità”[11]. Si badi bene: “modernità” significa pensiero filosofico moderno soggettivista e relativista, che va da Cartesio a Hegel, e non significa “farsi capire dall’uomo di oggi”, il che è del tutto legittimo e normale, ma totalmente differente dall’ accondiscendenza ecclesiastico-pastorale verso la “modernità”. La Chiesa aveva contestato e confutato la modernità con il Magistero tradizionale del secolo XIX-XX, rifacendosi alla dottrina che inizia da papa Gelasio I. Purtroppo con la Dichiarazione su “La Libertà religiosa” o Dignitatis humanae si è capovolta o “rivoluzionata” la dottrina da dommatica in pastorale e si è spinto i “cattolici a conformarsi alla modernità […] e ad uscire dal ghetto in cui la Chiesa tradizionale li aveva rinchiusi”[12], contravvenendo il motto di S. Paolo: “Nolite conformari huic saeculo!”.La rottura o Rivoluzione del Vaticano II
●La conclusione che tira Miguel Ayuso è che, se il Magistero costante e tradizionale della Chiesa ha contestato e confutato la modernità soggettivistica e relativistica (liberalismo, modernismo, liberismo e social-comunismo), l’insegnamento pastorale del Vaticano II è arrivato addirittura alla “rinuncia della tradizionale dottrina politica – basata sulla costituzione cristiana degli Stati – […] [e si è rivelato] incapace di delineare una nuova strategia”[13], ossia non solo ha abbandonato la dottrina sociale tradizionale sui rapporti tra Stato e Chiesa, ma non è riuscito neppure a proporre un’alternativa filosofico-politica adeguata all’insorgere del nuovo laicismo, sempre più radicale e parossistico.Il Magistero tradizionale contrasta la modernità
●Ci Si È Arresi Di Fronte Alla Modernità e post-modernità, senza colpo ferire, sperando di non essere perseguitati e lasciati in pace, non si è voluto opporre una resistenza dottrinale (filosofica e teologica) al mondo contemporaneo e si è taciuto e quindi fuggito davanti al lupo, venuto a sbranare il gregge, sperando di essere risparmiati, come il mercenario e il cattivo-pastore del Vangelo, il quale “tradisce le pecorelle non solo fuggendo, ma anche tacendo” (San Gregorio Magno). La tattica ‘a-pastorale’ di non condannare, disapprovare e criticare l’errore, equivale all’atteggiamento del mercenario, che tace quando vede il lupo venire invece di gridare ed allertare il suo gregge. È per questo motivo che non solo dottrinalmente vi è rottura tra insegnamento pastorale e non infallibile del Vaticano II e Tradizione apostolica, ma pure pastoralmente, ossia nel calare la dottrina e i princìpi nel caso pratico e nel modo di agire, il Vaticano II si è rivelato un immenso fallimento, poiché invece di avvisare che un pericolo incombeva negli anni Sessanta sulla Cristianità e la Fede cattolica (si pensi al comunismo e al Sessantotto) ha voluto tacere per non fare “il profeta di sventura”, e, analogamente nel post-concilio più recente (2005-2011) non si è messo in guardia il gregge contro il pericolo del teo-conservatorismo, del catto-liberalismo, del giudeo-cristianesimo e dell’ateismo-devoto, i quali stanno facendo oggi strage anche di quel “piccolo gregge”, che aveva resistito al modernismo e neo-modernismo. È evidente a tutti che per insegnare la verità (per esempio 1+1=2) non si può approvare l’errore (per es. 1+1=3) e quindi non si può non condannare.Il Vaticano II si è arreso alla modernità
●Combattere E Promuovere. Il professor Ayuso commenta: “Si tratta non solo di combattere ciò che è socialmente nocivo in relazione all’influsso che esercita sulle anime, ma altresì di promuovere ciò che è socialmente benefico, in virtù del suo valore intrinseco”[14]. Infatti non si può essere solamente “contro” o limitarsi alla pars destruens o negativa, ma occorre anche proporre qualcosa “pro”, ossia di positivo[15].
●Pio XII aveva previsto questo pericolo e lo aveva denunciato già nel 1941: “Dalla forma data alla Società, a seconda che sia in accordo o no con le Leggi divine, dipende il bene o il male delle anime. Dinanzi a questa considerazione e previsione, come potrebbe, essere lecito per la Chiesa […], rimanere spettatrice indifferente davanti ai pericoli a cui vanno incontro i suoi figli, tacere o fingere di non vedere situazioni che […], rendono difficile o praticamente impossibile una condotta di vita cristiana?” (Radiomessaggio “La solennità”, Pentecoste 1941). Non si può tacere o far finta di non vedere il pericolo di una situazione la quale rende difficile vivere cristianamente. Ora la “libertà delle false religioni”, l’abbandono dell’ideale dello Stato cattolico o della Regalità sociale di Cristo, sanciti dal Concilio Vaticano II sono esattamente una situazione o un modo di vita, che rende praticamente impossibile la pratica cristiana. Gli uomini di Chiesa sono caduti in una sorta di “sordo-mutismo” per cui fan finta di non aver sentito in modo di non dover parlare. Non si può rimanere spettatori indifferenti, che guardano e non gridano: “al lupo, aiuto, pericolo, attenzione!”. Sarebbe accettare praticamente ed implicitamente, anche se non esplicitamente e per principio, l’errore e il male, ossia la negazione pratica del primo principio per sé noto della morale: “malum vitandum, bonum faciendum”. Ora chi nega i princìpi per sé noti non è scusabile per ignoranza invincibile, poiché essi sono evidenti a tutti, si mostrano e non si dimostrano. Siccome gli uomini di Chiesa oggi tacciono questa verità sociale, essa - come ha detto Gesù - è “gridata dalle pietre”, ossia dai monumenti del passato, i quali testimoniano una verità storica: “Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava gli Stati” (Leone XIII, Immortale Dei, 1885). Quale tremenda responsabilità non aver voluto condannare l’errore, non aver voluto mettere in guardia la Cristianità e i fedeli cristiani contro il pericolo. Non avendolo “disapprovato” o condannato, implicitamente lo si è approvato. “Un Papa buono non è un buon Papa” diceva padre Innocenzo Colosio. “Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa”, recita il proverbio popolare. L’eccesso di “bontà” può diventare la massima crudeltà (“summa bonarietas, summa malvagitas”).Non si può tacere, altrimenti “lo grideranno le pietre”
●Pars Destruens et Construens. Miguel Ayuso spiega egregiamente che “la Chiesa non opera in politica soltanto ‘negativamente’, mediante condanne […], ma interviene altresì positivamente, dichiarando quali sono i princìpi che devono presiedere all’organizzazione di una comunità”[16]. La neutralità, il pluralismo o l’indifferenza dello Stato in materia religiosa non sono princìpi conformi alla Tradizione apostolica sui rapporti Stato-Chiesa così come è insegnata dalla S. Scrittura, dai Padri ecclesiastici del IV secolo e dal Magistero, a partire da papa Gelasio I (496) sino a Pio XII (1958).
●San Pio X ha insegnato formalmente - riprendendo il Magistero tradizionale di suoi predecessori, continuato poi dai suoi successori sino a Pio XII – che “la Civiltà cristiana non deve essere inventata, né la Città deve essere costruita sopra le nuvole. Essa è esistita ed esiste; è la Civiltà cristiana, è la Città cattolica. Non si tratta che di instaurarla o stabilirla, e restaurarla o ristabilirla, incessantemente, sulle fondamenta naturali e divine, contro gli attacchi sempre nuovi dell’utopia malsana, della rivoluzione e dell’empietà: omnia istaurare in Cristo” (Notre charge apostolique, 1910). La soluzione del problema politico (rapporti tra Stato e Chiesa) e sociale (rapporti tra mondo del lavoro e capitale) è semplicissima, perché non c’è nulla da inventare, basta instaurare o fondare una Polis o Civitas cattolica, basata sulla Legge divina e naturale nei luoghi ove non abbia ancora iniziato ad esistere e restaurarla o ripararla là ove c’era già, ma è stata assaltata dalla Rivoluzione, che vuol separare lo Stato dalla Chiesa, gli operai dai padroni, la giustizia dalla carità, l’economia dalla morale, distruggendo così la Civitas christiana. Sino al Sessantotto c’erano ancora vestigia, tracce o “rovine” di questa Civiltà cristiana, (che era stata solo ferita, anche se gravemente) e bastava restaurarne le “rovine” come si fa con le opere d’arte dei secoli passati. Oggi essa è stata annichilata o colpita a morte dall’assalto della rivoluzione giudaico-massonica, che ha invaso anche l’ambiente ecclesiale, come ha denunciato Paolo VI stesso: “il fumo di Satana è penetrato nella Chiesa di Dio”. Perciò adesso anche in Europa (la culla della Cristianità) occorre non più restaurare la Civiltà cristiana, ma addirittura instaurarla, però sempre sugli stessi fondamenti (Legge eterna e naturale) e princìpi (cooperazione di subordinazione o gerarchizzazione del temporale allo spirituale).La Cristianità è già esistita e non va inventata
●La Nuova Cristianità. Non bisogna inventare la “nuova cristianità” come hanno fatto Maritain (Umanesimo integrale, 1936)[17] e Dignitatis humanae (1965), costruendola sulle “nuvole” della dottrina liberale e laicista della separazione tra Stato e Chiesa. Leone XIII già prima di papa Sarto aveva scritto: “Ci fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava gli Stati” (Immortale Dei, 1885). Questa è la dottrina sociale sostanzialmente immutabile della Chiesa: lo Stato fondato sulla Legge naturale e divina e diretto dai princìpi della retta filosofia e della Rivelazione soprannaturale, in cooperazione di subordinazione gerarchizzata con il potere spirituale. Vi possono essere delle sfumature accidentali in questa dottrina (plenitudo potestatis oppure potestas indirecta in temporalibus ratione peccati), ma non essenziali (libertà delle false religioni messe sullo stesso piano dell’unica vera Religione, e indifferenza religiosa della Società civile o separazione tra Stato e Chiesa).
●Il Concilio Vaticano II. Purtroppo nella Dichiarazione Dignitatis humanae si riscontra una frattura, una mutazione sostanziale, con la dottrina tradizionale contenuta nella S. Scrittura e nella Tradizione apostolica (che sono le due fonti della Rivelazione), sotto la guida del Magistero costante della Chiesa (da papa Gelasio I a Pio XII). Papa Pacelli ha detto di questo insegnamento sui rapporti tra Stato e Chiesa che “è definitivamente stabilito quanto ai suoi punti fondamentali, è sufficientemente ampio per essere adattato alle molteplici vicissitudini dei popoli, purché ciò non avvenga a scapito dei suoi princìpi immutabili e permanenti. […]. Esso è in ogni aspetto obbligatorio. Né ci si può allontanare da esso senza pericolo per la Fede e l’ordine morale” (Discorso al Congresso dell’Azione Cattolica Italiana, 29 aprile 1945).La nuova Cristianità maritainiana e conciliare
●Rottura e Non Continuità. È proprio ciò che ha fatto Dignitatis humanae. Ora, se l’insegnamento pastorale del Vaticano II discorda da quello dogmatico costante ed infallibile della Chiesa, deve essere cambiato e reso conforme alla Tradizione apostolica. Specialmente oggi, di fronte all’assalto finale del laicismo aggressivo e di quello mascherato da teo-conservatorismo, bisogna ritornare alla Tradizione apostolica e innanzi tutto riproporre la dottrina della cooperazione subordinata tra Stato e Chiesa per poi cercare di lavorare praticamente alla restaurazione delle condizioni affinché possa rinascere la Civiltà cristiana, permettendo agli uomini singoli, alle famiglie e ai corpi intermedi di realizzare facilmente le loro finalità prossime ordinate al Fine ultimo soprannaturale. La Civiltà cristiana non deve essere inventata ex novo, ma oramai instaurata, poiché purtroppo non c’è più nulla da restaurare. La post-modernità e il post-concilio hanno distrutto le vestigia, le rovine o i ruderi della Cristianità che ancora restavano.
●L’Uomo È Un Animale naturalmente Socievole. Da ciò la necessità di insegnare, oggi più che mai, la dottrina sociale della Chiesa e di non rinchiudersi nelle sacrestie, come volevano i cattolici liberali, mascherando tale cedimento al cattolicesimo liberale sotto una maschera di eccessivo spiritualismo o angelismo disincarnato, il cui motto è “non bisogna fare politica!”. Invece la realtà, e quindi la verità, è che l’uomo è composto di anima e di corpo, che è un animale razionale e anche sociale ossia politico, fatto per vivere in Societas o in Polis, e non è un angelo, un ente disincarnato o un monaco, che vive isolato. I monaci sono casi “eccezionali” ed “eroici” che confermano la regola.La Chiesa non può non fare “politica”
●Il Pericolo Dell’Angelismo O Dello Spiritualismo Esagerato. L’errore dei conservatori e di alcuni “tradizionalisti” cattolici attuali è quello di eliminare l’elemento sociale dalla natura umana, che invece è stata creata da Dio naturalmente socievole (Aristotele, Politica, VI; San Tommaso D’Aquino, De regimine principum, lib. I, cap. 14), e di voler rendere l’uomo un singolo individuo (come il liberalismo individualista) senza spazio sociale e politico, per indirizzarlo, con una spinta puramente naturale (anche se viene dal prete, che resta sempre un uomo anche se consacrato e non è Dio, ma solo uno strumento di Dio per aiutare i fedeli a fare la Volontà di Dio, che non necessariamente è quella del sacerdote) verso una vita consacrata alla quale invece chiama solo Dio e nella quale si persevera solo con l’aiuto di Dio. “Non siete voi che avete scelto Me, ma sono Io che ho scelto voi” ha detto Gesù nel Vangelo ai Suoi Apostoli. La vocazione è un consiglio e non un precetto e non si può obbligare a seguire un consiglio sotto pena di peccato[18]. Occorre contestare, confutare e contrastare il laicismo, in teoria e in pratica, rovesciare tale modo di vita sovversivo e rivoluzionato, fare la storia piuttosto che subirla passivamente e tentare di creare le condizioni di un vivere sociale, che faciliti quello spirituale. Come “la Grazia presuppone la natura, la perfeziona, e non la distrugge” (San Tommaso), così la Fede presuppone l’umanità civilizzata[19], la perfeziona, la mantiene in vita e non la deve distruggere. Parimenti la vocazione sacra presuppone la vita familiare, sociale e politica, la perfeziona e non la deve annientare. Se non vi fosse una società familiare, non vi potrebbe essere un “chiamato” e, se la Società civile invece di aiutare l’individuo e la famiglia a cogliere il proprio Fine, li ostacolasse, i “vocati” sarebbero molto di meno. È per questo che occorre “dare a Cesare quel che è di Cesare [obbedienza alle leggi temporali conformi a quella naturale] e a Dio quel che è di Dio [l’adorazione]”.
●Dottrinalmente. La questione sembrerebbe a prima vista e superficialmente un anacronismo, come conviene anche Miguel Ayuso[20]. Infatti storicamente non esiste oggi nessuno Stato cattolico, ma la questione dottrinale che ci si pone è se sia possibile farlo rivivere. In teoria o quanto al principio dottrinale la risposta è evidente: lo Stato non può essere neutrale, data la socievolezza naturale dell’uomo, della famiglia e della Società civile, che debbono tutte e tre dare a Dio il culto e l’adorazione che Gli è dovuta. In pratica o nei fatti, però, ci si trova di fronte all’enorme problema della pastorale sulla Libertà religiosa (Dignitatis humanae) del Vaticano II, che non si è contrapposta alla modernità o alla Società permissivista[21], ma è entrata in dialogo simpatizzante con essa ed ha accelerato la secolarizzazione o scristianizzazione della Società. Miguel Ayuso porta l’esempio della Ley de libertad religiosa del 1967, chiesta da Paolo VI al generale Francisco Franco e il conseguente nuovo Concordato spagnolo del 1978[22], simile a quello italiano del 1984 (che ha abrogato il Concordato del 1929), definito da Giovanni Paolo II “ideale”, in quanto si è passati (in Spagna come in Italia) dallo Stato confessionale, che riconosceva la Religione cattolica come Religione ufficiale dello Stato, allo Stato neutro in materia religiosa. Ayuso commenta: “Stiamo assistendo alla separazione consapevole e voluta tra la Chiesa e la Società, dopo che è stata consumata la separazione tra la Chiesa e lo Stato”[23]. Oggi ci troviamo in una Società anti-cristiana per principio e in pratica, che sarebbe meglio chiamare “Dis-società” (Marcel De Corte) o “Sinagoga di Satana” (Apoc., II, 9), che è la “contro-Chiesa” o il “pericolo giudaico-massonico” (Ernest Jouin)[24]. Se la dottrina cattolica sui rapporti tra Stato e Chiesa è immutabile[25], purtroppo “il linguaggio […] in seguito al Concilio Vaticano II, si distingue nettamente dal precedente. […]. Il diritto alla libertà religiosa solleva non poche difficoltà dal punto di vista del Magistero tradizionale”[26]. Vale a dire non vi è continuità reale tra Tradizione apostolica e Dignitatis humanae (d’ora in poi ‘DH’),anche se essa viene affermata, ma non dimostrata. Ayuso riscontra in ‘DH’una sorta di eterodossia pubblica, vale a dire un errore in materia di dottrina sociale e politica[27].È possibile uno Stato cattolico oggi?
●Prudenzialmente. Ayuso si domanda se sia realistico un ritorno immediato allo Stato cattolico. La realtà odierna, in cui o non si prende neppure in considerazione il problema dei rapporti gerarchizzati tra potere politico e spirituale o lo si ritiene attualmente insostenibile, “e - ciò è ancor peggio - da parte della stessa gerarchia ecclesiastica”[28], non favorisce praticamente tale ritorno immediato, anzi lo rende umanamente impossibile e solo miracolosamente attuabile. Certamente occorre evitare i due errori opposti per eccesso (fanatismo ideologico semplicistico: tutto e subito) e per difetto (opportunismo pragmatistico: rinunzia dei princìpi e/o acquiescenza pratica con l’errore), ma bisogna sempre tendere all’ideale o alla dottrina della cooperazione gerarchizzata e subordinata tra Stato e Chiesa, che è “una morale invariabile dell’ordine politico […], non è qualcosa di meramente facoltativo, […], ma è il costitutivo interno [o l’essenza] della Società civile”[29], anche se in pratica essa oggi è difficilmente attuabile nell’immediato o nel futuro prossimo, ma non assolutamente impossibile da realizzarsi gradualmente o nel futuro remoto. Occorre quindi “rimettere in piedi – come scrive Ayuso – la dottrina della Chiesa […] sulle basi della Tradizione”[30]. Soprattutto non bisogna mai disperare, né quanto alla salvezza eterna della propria anima e né quanto alla salvezza temporale della Società, la quale deve e può tornare a portare a compimento il suo dovere e cogliere il suo fine: il benessere temporale dei cittadini subordinatamente a quello spirituale. Infatti Dio è Causa Prima dell’uomo, “animale razionale” dotato di un’anima spirituale ed immortale, come pure dell’uomo “animale sociale”, che vive in una società imperfetta di ordine naturale (famiglia) e perfetta di ordine temporale (Stato) e soprannaturale (Chiesa). Per cui lo Stato deve lavorare in cooperazione gerarchica subordinata con la Chiesa, come il corpo con l’anima. Dio è onnipotente e provvido sia per la singola anima e la sua salvezza eterna sia per la famiglia e la Società (civile e religiosa). Quindi si deve sperare la salvezza eterna della propria anima come pure l’instaurazione del Regno sociale di Cristo e lavorare per essi. Infatti “chi vuole il fine, prende i mezzi”.
●“La Chiesa non può, senza tradire la propria missione, smettere di affermare che esiste una legge morale naturale […] alla quale devono essere sottomessi i poteri pubblici. Questo è il nucleo dello Stato cattolico”[31], come ha insegnato Pio XI nella sua prima enciclica Ubi arcano Dei del 1922, sintetizzata nel motto di papa Ratti “Pax Christi in Regno Christi”. Il “peccato originale” della modernità è consistito nell’aver posto nell’uomo e non in Dio il fondamento della vita sociale e dello Stato (“eritis sicut Dii”). L’antropocentrismo sociale o politico è il ‘principio e fondamento’ della filosofia e civiltà moderna, come l’antropocentrismo individualistico lo è del modernismo. L’eresia dogmatica modernistica si è trasformata in Rivoluzione sociale liberale o modernismo politico (cfr. S. Pio X, Notre charge apostolique, 1910)[32]. Tutte o quasi tutte le Rivoluzioni sociali nascono da errori filosofici ed eresie dogmatico-morali.Conclusione
●La Verità Filosofica, Dogmatica E Morale è stata sintetizzata teocentricamente dal motto di San Paolo: “Non est Potestas nisi a Deo”, la contro-chiesa l’ha rivoluzionata antropocentricamente in: “Non est potestas nisi ab Homine”[33]. Così l’eresia dogmatica modernistica ha influito sulla Rivoluzione politica democristiana e questa ha finito per demolire le ultime tracce o “rovine” di una civiltà, che era ancora cristiana prima di essere demo-cristianizzata. Certamente ‘DH’ ha avuto un ruolo filosofico, teologico e politico in questo processo di laicizzazione o secolarizzazione. Il vescovo spagnolo mons. José Guerra Campos aveva invitato a “riedificare la dottrina [sociale] della Chiesa” a causa delle notevoli “incoerenze nella predicazione attuale”[34]. Con ‘DH’ si assiste al fenomeno di penetrazione del laicismo in ambiente cattolico ed ecclesiale sino al punto che la separazione tra Stato e Chiesa è predicata dagli stessi uomini di Chiesa. Il post-concilio ha aggravato l’errore laicista di ‘DH’ sino al punto di far rivedere i Concordati con la Spagna (1978) e l’Italia (1984) in senso separazionista, definito come “ideale” da Giovanni Paolo II per quanto riguarda il Concordato italiano del 1984. Lo stesso Giovanni Paolo II, nella Lettre apostolique aux Eveques français dell’11 febbraio 2005 in occasione del primo centenario della legge francese del 1905 sulla separazione tra Stato e Chiesa (condannata da San Pio X in Vehementer, 1906), ha scritto: “Il principio della laicità […] appartiene alla dottrina sociale della Chiesa”. Ossia il “libero Stato e libera Chiesa” di Cavour sono diventati dottrina sociale cattolica!
●Solo Dio ci può far uscire da una situazione di apostasia generale, che è penetrata sin nel Santuario e nelle menti dei gerarchi della Chiesa. Egli, infatti, ci ha promesso: “Portae inferi non praevalebunt adversus eam”.
d. CURZIO NITOGLIA
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